Di colpo, lo spazio intorno a Victor divenne luminoso. Era una luce diffusa. Il verde-azzurro impallidì e al suo posto, nella zona al di fuori del fascio del proiettore, il nero aumentò. Nell'inquadratura entrarono alcuni piccoli pesci, poi tutto sembrò pieno di minuscole bollicine. Johanson sapeva che in realtà si trattava di plancton, composto da miliardi di microscopiche forme di vita. Passarono meduse rosse e ctenofori trasparenti.
Dopo un po', lo sciame di particelle divenne più denso. Il barimetro indicava cinquecento metri.
«Che compito deve svolgere Victor?» chiese Johanson.
«Deve raccogliere campioni d'acqua, dei sedimenti e anche delle forme di vita», rispose Tina senza voltarsi. «E soprattutto deve girare materiale video.»
Nell'inquadratura entrò qualcosa di frastagliato. Victor si stava inabissando lungo una ripida parete. Aragoste rosse e arancione muovevano le loro lunghe antenne. Il mare era già molto buio, ma i riflettori e le telecamere riportavano i colori naturali con tonalità sorprendentemente intense. Victor passò davanti a spugne e cetrioli di mare, poi il terreno cominciò a farsi progressivamente più piano.
«Ci siamo», disse Tina. «680 metri.»
«Okay.» Il pilota si chinò in avanti. «Facciamo una virata.» La scarpata sparì dagli schermi. Per un po' videro solo l'acqua, poi improvvisamente, nell'oscurità nera e blu, si delineò il fondale marino.
«Victor è preciso al millimetro», disse Alban, visibilmente orgoglioso. «Se vuole può anche fargli infilare la cruna di un ago.»
«Grazie, a quello ci pensa il mio sarto. Dove si trova esattamente?» chiese Johanson.
«Proprio sopra un plateau. Nel sottosuolo c'è molto petrolio.»
«Ci sono anche idrati di metano?»
Alban lo fissò, pensieroso. «Sì, certo. Perché me lo chiede?»
«Così. E la Statoil vuole costruire lì una stazione?»
«È il luogo ideale. Ameno che non ci sia qualche controindicazione.»
«Per esempio i vermi.»
Alban scrollò le spalle. Johanson notò che al francese quell'argomento non piaceva. Osservarono il robot che sorvolava un mondo sconosciuto, superando ragni marini che camminavano con le zampe rigide e pesci che razzolavano tra i sedimenti. Le telecamere riprendevano colonie di spugne, meduse luminose e seppie. In quelle zone non c'erano molti esseri; in compenso, sul fondale, si trovava una grande varietà di forme di vita. Dopo un po', il paesaggio assunse un aspetto bitorzoluto e screpolato. Dal fondo si levavano strutture stratificate.
«Sono smottamenti ricoperti di sedimenti», spiegò Tina. «Sulla scarpata norvegese ci sono già stati diversi scivolamenti.»
«Che cosa sono quelle strutture a scogliera?» chiese Johanson. Il fondale era cambiato di nuovo.
«Sono formazioni create dalle tempeste. Ci stiamo dirigendo verso il bordo del plateau», rispose Tina. «I vermi li abbiamo trovati non lontano da lì.»
Fissarono i monitor. Nella luce dei riflettori era comparsa una macchia di grandi dimensioni e di colore più chiaro.
«Un tappeto di batteri», osservò Johanson.
«Sì. Segno della presenza di idrati di metano.»
«Là», disse il pilota.
Sul monitor comparvero gigantesche macchie bianche. Erano i punti in cui il metano congelato s'immagazzinava direttamente sul fondale. Poi, però, Johanson vide un'altra cosa e si accorse subito che l'avevano notata anche gli altri. Nella sala di controllo scese una cappa di silenzio.
Parte degli idrati era sparita sotto un brulichio rosa. In un primo momento fu ancora possibile riconoscere i singoli vermi, poi la massa di corpi aggrovigliati divenne inestricabile. Tubi rosa con ciuffi bianchi si attorcigliavano l'uno sull'altro.
Uno degli uomini al quadro di comando emise un gridolino di disgusto.
«Procedere a zig-zag», ordinò Tina.
Il ROV cominciò a nuotare in una specie di slalom. L'immagine era sempre la stessa: vermi ovunque.