Читаем Il quinto giorno полностью

Era stato il petrolio a portare il cambiamento. La Norvegia, una nazione di pescatori ormai in declino, si era gettata sui tesori appena scoperti nei fondali marini — come l'Inghilterra, l'Olanda e la Danimarca — e, nel giro di trent'anni, era diventata la seconda esportatrice mondiale di petrolio. Il grosso dei giacimenti, e quindi circa la metà di tutte le risorse europee, si trovala al di sotto dello zoccolo continentale norvegese. E le riserve di gas norvegesi avevano più o meno le stesse dimensioni. Si costruirono piattaforme dopo piattaforme. I problemi tecnici erano risolti senza curarsi dei costi per l'ambiente. Così si era trivellato sempre più in profondità, e le semplici strutture dei primi anni si erano trasformate in torri di trivellazione alte come l'Empire State Building. Progetti di piattaforme sottomarine completamente telecomandate stavano ormai diventando realtà. Sembrava che la festa non dovesse mai finire.

E invece sarebbe finita, e pure in fretta. La quantità di pescato e le estrazioni di petrolio erano diminuite in tutto il mondo. Quello che si era formato in milioni di anni sarebbe scomparso in meno di quarant'anni. Molti giacimenti nel mare dello zoccolo continentale erano pressoché esauriti. Cominciava a delinearsi il fantasma di un gigantesco deposito di rottami: non si sapeva che cosa fare delle piattaforme abbandonate, perché nessuna forza al mondo sarebbe stata in grado di smuoverle. Solo una via di salvezza sembrava ancora aperta: al di là dello zoccolo continentale, sulla scarpata continentale e negli estesi bacini abissali, si trovavano giacimenti inviolati. Tuttavia le piattaforme tradizionali non erano adatte a sfruttarle, così Tina e il suo gruppo stavano progettando impianti di altro tipo. Non sempre la scarpata era ripida, infatti c'erano punti in cui digradava in terrazze che offrivano un terreno ideale per stazioni sottomarine. Ciò nonostante, a causa dei rischi legati a un progetto che prevedeva una simile distanza dal margine continentale, bisognava prevedere una forza lavoro ridotta al minimo. In fondo, con la diminuzione della quantità di estratto, aveva subito una battuta d'arresto anche la fortuna dei lavoratori petroliferi che, nel corso degli anni '70 e '80, erano stati assai richiesti e ben retribuiti. Per la Gullfaks C, per esempio, si progettava una riduzione del personale fino a due dozzine di unità. E c'erano piattaforme come quella chiamata «L'uomo sulla luna», un impianto nel canale norvegese, che ormai funzionavano quasi completamente in automatico.

Alla fine gli affari petroliferi del mare del Nord erano diventati deficitari. Ma interromperli avrebbe comportato problemi ancora più gravi.

Quando Johanson uscì dalla sua cabina, a bordo della Thorvaldson regnava un'atmosfera tranquilla. La nave non era particolarmente grande. Un gigante delle ricerche come la Polarstern, del porto di Brema, avrebbe permesso anche l'atterraggio di un elicottero, ma la Thorvaldson aveva bisogno di spazio per le attrezzature e così Sigur e Tina l'avevano raggiunta via mare. Johanson andò verso il parapetto e guardò fuori. Nelle due ore precedenti, si erano lasciati alle spalle tutto l'insediamento di piattaforme, le cui isole erano collegate da trasporti aerei. Ormai si trovavano oltre le isole Shetland, al di là del margine continentale e, così al largo, non c'erano più costruzioni. Si riconoscevano in lontananza i profili delle isolate torri di perforazione, ma non si aveva più l'impressione di essere in una sovraffollata zona industriale. Sotto la nave, poi, si stendevano approssimativamente settecento metri d'acqua. La scarpata continentale era misurata e cartografata, ma si aveva solo una vaga idea della zona delle tenebre eterne. Grazie alla luce di potenti proiettori, era stato possibile osservarne alcuni settori, però il quadro generale ancora mancava. Era come se in tutta la Norvegia, la notte, fosse stato acceso un unico lampione.

Johanson pensò al suo Bordeaux e alla piccola «collezione» di formaggi francesi e italiani che aveva in valigia. Si mise alla ricerca di Tina e la trovò impegnata nelle operazioni di controllo del robot. L'automa era appeso al braccio della gru: era un aggeggio rettangolare con un telaio di tubi, alto almeno tre metri e tecnologicamente all'avanguardia. Sulla parte superiore, chiusa, c'era scritto il nome: Victor. Nella parte anteriore, Johanson vide una telecamera e un braccio prensile ritratto.

Tina lo guardò, raggiante. «Impressionato?»

Johanson girò intorno a Victor. «Un grande aspirapolvere giallo», commentò.

«Sei un disfattista.»

«Va bene, ne sono affascinato. Quanto pesa questo affare?» chiese Johanson.

«Quattro tonnellate. Ehi, Jean!»

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