Il funerale fu breve e composto. Prima della cerimonia, Anawak aveva dovuto stringere molte mani. Gente che non aveva mai visto gli si era presentata davanti e lo aveva abbracciato. Quindi il pastore lesse un passo della Bibbia e recitò una preghiera, poi la bara fu calata in una fossa profonda giusto il necessario per contenerla, e venne ricoperta con un telo di plastica blu. Alcuni uomini cominciarono ad ammassarci sopra delle pietre. La croce all'estremità della fossa venne infilata un po' storta nel terreno duro, come tutte le altre croci nel cimitero. Akesuk mise tra le mani di Anawak una piccola cassa di legno col coperchio di vetro, in cui erano chiusi alcuni fiori artificiali, un pacchetto di sigarette e il dente di un orso incastonato nel metallo. Gli diede una spintarella, e Anawak, obbediente, si affrettò verso la tomba e depose la cassa sotto la croce.
Akesuk gli aveva chiesto se voleva vedere il padre per l'ultima volta, ma Anawak aveva rifiutato. Mentre il pastore leggeva la Bibbia, lui aveva cercato d'immaginare chi fosse l'uomo nella bara e soprattutto se, in quella bara, ci fosse
Non si sforzò di provare qualche sentimento. Desiderava solo andarsene il più in fretta possibile.
Tornare a casa.
Ma dov'era casa sua?
Improvvisamente, mentre il gruppo intonava un canto, fu preso da una gelida sensazione di abbandono e di panico. Non era il freddo artico a farlo tremare. Aveva pensato a Vancouver e a Tofino, ma né l'una né l'altro erano la sua casa.
Anawak stava guardando in un buco nero.
Il suo campo visivo si restrinse e numerose spirali presero a vorticargli davanti agli occhi. Il buio gli piombò addosso, come un'onda gigantesca cui non poteva sfuggire. Era finito in trappola, come un animale, senza via di fuga, costretto a fissare quel vuoto che lo avvolgeva.
«Leon.»
Fu attraversato da una vertigine carica di terrore.
«Leon!»
Akesuk l'aveva afferrato per il braccio. Anawak, sconvolto, guardò quel volto rugoso coi baffi color argento.
«Tutto a posto, ragazzo?»
«Sì, certo», mormorò.
«Buon Dio! Riesci appena a reggerti sulle gambe», mormorò Akesuk, impietosito. Gli altri li fissavano.
«Sto bene. Grazie Iji, è passata.»
Nelle facce dei presenti, Anawak scorse soltanto indifferenza. Quegli uomini erano lì e contemporaneamente a chilometri di distanza. Il cordoglio nei loro occhi era puramente formale. Davanti alle tombe delle persone amate si crolla. Crollano anche gli inuk, benché siano così orgogliosi da non capitolare davanti a niente e a nessuno.
A parte, forse, davanti all'alcol e alle droghe.
Anawak stava male.
Si girò e lasciò il cimitero a rapide falcate. Lo zio non lo trattenne. Davanti alla chiesa, quando si sentì sotto i piedi l'asfalto della strada, fu preso dal bisogno di correre via, ma si trattenne. Fece qualche passo, col cuore che batteva tumultuosamente. Voleva fuggire, ma non sapeva dove. Non aveva una direzione.
Cenò al Polar Lodge. Mary-Ann aveva preparato da mangiare, ma Anawak aveva detto allo zio che voleva stare da solo. Il vecchio si era limitato ad annuire, l'aveva accompagnato all'hotel e poi si era allontanato con aria triste. Ma la sua tristezza era dovuta al fatto di essersi reso conto che la richiesta di Anawak non era motivata dal desiderio di un po' di quiete e di raccoglimento.
Anawak rimase disteso su uno dei due letti singoli della stanza, fissando il televisore acceso per ore intere. Si domandò come avrebbe potuto sopportare un altro giorno a Cape Dorset senza che incordi lo travolgessero. Aveva prenotato per due notti, convinto che ci fossero delle formalità da sbrigare, ma Akesuk si era già occupato di tutto. In fondo, la sua presenza era inutile. Poteva anche partire subito.
Decise di annullare la prenotazione per la seconda notte. Sarebbe di certo riuscito a trovare un posto sul volo per Iqaluit e, con un po' di fortuna, ne avrebbe trovato un altro sul Boeing verso Montreal. Una volta arrivato là, non gli importava quanto avrebbe dovuto aspettare per la coincidenza. Montreal meritava una visita e soprattutto era lontanissima da tutto ciò che era legato a quel terribile luogo alla fine del mondo, chiamato Cape Dorset.
Finalmente arrivò il sonno.
Anawak dormiva, ma il suo spirito continuava a ricordare il Nunavut. Si ritrovò sull'aereo che girava sopra Vancouver in attesa dell'autorizzazione all'atterraggio. Ma la torre di controllo non la concedeva. Allora il pilota si girò verso di lui, dicendo: «Non possiamo atterrare. Non può andare a Vancouver, e neppure a Tofino».