«Io sì. È l'immagine della cacciata, ragazzo. Il governo di Ottawa aveva trovato una bella parola per indicarla: 'trasferimento'. Una storia da Guerra Fredda. Ottawa temeva che agli Stati Uniti o all'Unione Sovietica venisse l'idea di rivendicare le zone disabitate del Canada artico, così aveva trasferito gli inuit, che vivevano da nomadi dalle loro zone d'origine, a sud della zona polare, verso Resolute e Grise Fiord, nelle vicinanze del Polo Nord. Avevano detto loro che lassù i territori di caccia erano migliori; in realtà si trattava di una trappola. Gli inuit dovevano portare un numero di matricola impresso su una placca di lamiera, simile alla piastrina dei cani. Lo sapevi?»
«Non lo ricordo.»
«Molti della tua generazione, molti dei bambini di oggi non hanno idea di come hanno dovuto vivere i loro genitori. E che in realtà è cominciato tutto ancor prima, a metà degli anni '20, quando sono arrivati i trapper bianchi coi fucili. I caribù e le foche vennero decimati… da entrambi, dai qallunaat
e dagli inuit. Però, capisci, pallottole invece di frecce… Gli inuit furono travolti da un'ondata di miseria. In generale non avevano mai avuto patticolari problemi con le malattie, ma, da quel momento, la poliomielite, la tubercolosi, il morbillo, la difterite fecero la loro comparsa. Così gli inuit lasciarono i loro accampamenti e si trasferirono nei centri abitati. Alla fine degli anni '50, morivano in massa per la fame e le malattie infettive, però il governo ufficiale non ne sapeva nulla. I militari iniziarono a mostrare interesse per i Territori del nord-ovest e costruirono basi segrete nei territori tradizionali di caccia. Gli inuit che risiedevano ancora in quei luoghi vennero naturalmente mandati via. Per iniziativa delle autorità canadesi, furono imbarcati sugli aerei e deportati centinaia di chilometri più a nord, ovviamente privi delle loro tende, dei kajak, delle canoe e delle slitte. Anch'io venni trasferito e così accadde ai tuoi genitori. Quel provvedimento era stato motivato dall'idea che, per gli inuit affamati, a nord ci fossero più possibilità di sopravvivenza che nei pressi delle basi militari. In realtà erano zone lontane dai percorsi migratori dei caribù e dai luoghi in cui, d'estate, gli animali andavano a riprodursi.» Akesuk fece una pausa e rimase a lungo in silenzio. Nel frattempo riemersero i narvali. Anawak osservò le «spade incrociate» finché lo zio non riprese: «Dopo che siamo stati trasferiti, hanno mandato i bulldozer negli antichi territori di caccia. Per impedirci anche solo di pensare a un ritorno, venne raso al suolo tutto ciò che ricordava la nostra esistenza. E, naturalmente, nell'estremo nord i caribù non si fecero vedere. Non c'era da mangiare né da vestirsi. A cosa serve il più grande coraggio se puoi catturare solo qualche siksik, poche lepri e alcuni pesci? Se vedi morire il tuo popolo e non puoi fare nulla, nonostante tutta la tua forza e la tua determinazione? Ti risparmierò i particolari. Nel giro di pochi decenni, siamo diventati un caso per i servizi sociali. Non eravamo in grado di riprendere la nostra vita e non avevamo imparato a vivere in un altro modo. Più o meno nel periodo in cui sei nato, il governo si è sentito responsabile per la nostra situazione, così ha costruito per noi delle scatole, delle case. Per i qallunaat è una cosa naturale. Loro vivono nelle scatole. Quando si muovono lo fanno con delle scatole che poi chiudono in altre scatole. Mangiano in scatole pubbliche, i loro cani vivono in scatole, e le scatole in cui vivono gli uomini sono separate con muri e recinzioni da altre scatole. Quella era la loro vita, non la nostra… Eppure anche noi andammo a vivere nelle scatole. E a cosa porta la perdita della propria identità? All'alcol, alle droghe e al suicidio.»«Allora mio padre ha lottato per i diritti degli inuit?» chiese Anawak sottovoce.
«L'abbiamo fatto tutti. Ero giovane quando siamo stati cacciati. Ho lottato con gli altri per ottenere un risarcimento. Per trent'anni abbiamo fatto cause e combattuto. Anche tuo padre. Ma lui è crollato. Ora, dal 1999, abbiamo il nostro Stato, il Nunavut, la «nostra terra.» Nessuno s'immischia più, nessuno ci trasferisce. Ma la nostra vita, l'unica vita che era fatta per noi, è irrimediabilmente perduta.»
«Allora dovete cercarne una nuova.»