Restava l'aspetto della sicurezza. Lo stesso Bohrmann, che era abituato a temere il peggio, ammetteva che il rischio di un blow-out di metano nel bacino abissale della Groenlandia era molto basso. La nave di Bauer era stata colpita nei pressi delle isole Svalbard, e là, sulla scarpata continentale, erano stipate massicce quantità di idrati. Sotto la chiglia dell'
Ma in quel caso sarebbe stato comunque troppo tardi.
Era quello il motivo per cui si trovavano lì, tra i ghiacci eterni.
Erano seduti nella mensa degli ufficiali, gigantesca e deserta, a mangiare uova strapazzate e pancetta. Anawak e Greywolf non c'erano. Dopo la sveglia, Johanson aveva parlato al telefono per qualche minuto con Bohrmann, che era arrivato a La Palma e stava preparando l'operazione con l'aspiratore. Le Canarie erano un'ora indietro, ma Bohrmann era già in piedi da diverse ore. «Il lavoro lo fa un tubo aspirante lungo cinquecento metri», aveva detto, ridendo.
«Pulite bene anche negli angoli», gli aveva consigliato Johanson.
Bohrmann gli mancava. D'altra parte, a bordo dell'
Tutti lo guardarono.
«Un contatto?» chiese Sue.
«Lo saprei.» Samantha prese un'enorme porzione di pancetta. Nel portacenere, c'era la sua terza o quarta sigaretta, ancora accesa. «Shankar è nel CIC. Ci avrebbe informati.»
«Che cosa c'è allora? È atterrato qualcuno?»
«Uscite in coperta», replicò Anderson con aria misteriosa. «E lo vedrete.»
Ponte di volo
All'esterno, sul volto di Johanson si appoggiò una maschera di freddo. Il cielo era di un bianco indefinito. Le onde grigie sollevavano creste schiumose. Durante la notte si era alzato il vento e soffiava cristalli di ghiaccio sottili come aghi sulla superficie asfaltata. Johanson scorse un gruppo di persone imbacuccate e, avvicinandosi, riconobbe Judith Li, Anawak e Greywolf. Poi immediatamente capì che cosa aveva attirato la loro attenzione.
A una certa distanza dall'
«Orche», spiegò Anawak, quando Johanson gli fu vicino.
«Che cosa fanno?»
Anawak socchiuse le palpebre contro la pioggia di aghi di ghiaccio. «È da circa tre ore che girano intorno alla nave. I delfini ne hanno annunciato la presenza. Direi che ci osservano.»
Shankar arrivò di corsa e si mise di fianco a loro. «Che succede?»
«Forse è una risposta» disse Samantha.
«Al nostro messaggio?»
«E a cosa, sennò?»
«Strana, come risposta a una verifica di matematica», disse Shankar. «Avrei preferito qualche sostanziosa equazione.»
Le orche si tenevano prudentemente a distanza dalla nave. Erano molte. Centinaia, valutò Johanson. Nuotavano con un ritmo regolare e, di tanto in tanto, sollevavano il dorso nero. In effetti dava proprio l'impressione che fossero una pattuglia.
«È possibile che siano infestate?»
«Probabile.»
«Dite un po'…» Greywolf si grattò la testa. «Se quella robaccia controlla il loro cervello… non avete mai pensato che ci possano anche vedere? E sentire?»
«Hai ragione», disse Anawak. «Usano i loro organi di senso.»
«Appunto. Così quella sostanza gelatinosa ha occhi e orecchie.»
«A ogni buon conto, sembra proprio che sia cominciata», disse Samantha, soffiando nell'aria gelida il fumo che venne immediatamente portato via.
«Che cosa?» chiese Judith Li.
«La prova di forza.»
«Bene.» Un sorriso sottile le increspò le labbra. «Siamo attrezzati per ogni evenienza.»
«Per quelle che conosciamo», precisò Samantha.
Laboratorio
Mentre scendeva — con Mick Rubin e Sue Oliviera al seguito -, Johanson si chiedeva se la psicosi non avesse già cominciato a creare nella loro mente una realtà allucinata.
Il processo l'aveva messo in moto lui. Certo, se non l'avesse fatto lui, sarebbe stato qualcun altro a elaborare quella teoria. I fatti si disponevano sulla base di un'ipotesi. Un branco di orche circondava l'