Читаем Il quinto giorno полностью

Il quinto giorno. Era solo una fantasia che ormai si autoalimentava? Si stavano comportando da idioti? Non riusciamo ad andare avanti, pensò, frustrato. Qualcosa deve succedere. Qualcosa che ci dia la certezza che non ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata, accecati dalle teorie.

Scesero la rampa coi passi che rimbombavano, passarono l'hangar e continuarono a scendere. La porta d'acciaio del laboratorio era chiusa. Johanson inserì un codice numerico ed essa scivolò con un leggero sibilo. Lui regolò l'illuminazione del soffitto e quella delle postazioni. Una luce fredda e bianca invase le isole di lavoro. Dal simulatore arrivava il ronzio dei sistemi elettrici. Salirono sulle passerelle tutt'intorno alla cisterna ad alta pressione e si misero davanti alla grande finestra ovale. Da lì si dominava l'interno della vasca. Sul fondale marino artificiale, nella luce dei proiettori, c'erano piccoli esseri, con zampe da ragno. Alcuni si muovevano esitanti, evidentemente disorientati. Si spostavano in cerchio oppure si fermavano dopo qualche passo, come se non sapessero dove andare. Più si guardava in profondità nella cisterna, più l'acqua rendeva difficile cogliere i dettagli. Alcune telecamere facevano riprese ravvicinate dall'interno e le proiettavano sui monitor di un banco di controllo.

Tutti osservarono i granchi con sgomento.

«Non hanno fatto granché da ieri», notò Sue.

«No, se ne stanno rannicchiati e aumentano le nostre perplessità.» Johanson si strofinò la barba. «Dovremmo aprirne qualcuno e vedere che succede.»

«Aprire i granchi?»

«Perché no? Che continuano a vivere con l'alta pressione ormai lo sappiamo. Non è che questa conoscenza acquisti interesse col passare dei giorni.»

«Continuano a vegetare», lo corresse Sue. «Non abbiamo ancora spiegato se quello che fanno può essere definito 'vivere'.»

«La sostanza al loro interno vive», intervenne Rubin, pensieroso. «Il resto non è più vivo di un'automobile.»

«D'accordo», disse Sue. «Ma com'è questa vita che hanno all'interno? Perché non fa nulla?»

«Che dovrebbe fare, secondo lei?»

«Girare.» La biologa si strinse nelle spalle. «Muovere le chele, che ne so. Lasciare la corazza. Osservate quei granchi. Se sono stati programmati per arrivare sulla terra, fare danni e infine crepare, si trovano in una situazione davvero difficile. Non arriva nessuno a dare nuovi ordini. Stanno girando a vuoto.»

«Appunto», annuì Johanson, spazientito. «Sono letargici e noiosi e si comportano come giocattoli a molla. La penso come Mick. Questi corpi di granchio sono stati allevati già morti; è rimasta solo un po' di massa nervosa e sono un'armatura per chi ci sta dentro. E adesso voglio costringere chi è là dentro a uscire, capite? Voglio sapere come si comporta quella cosa nell'ambiente degli abissi marini se qualcuno la costringe a lasciare la corazza.»

«Va bene», approvò Sue. «Vediamo di esplorare quella sostanza gelatinosa.»

Lasciarono la passerella, scesero e si avviarono alla console di comando. Il computer permetteva di controllare diversi robot all'interno della cisterna. Johanson scelse una piccola unità ROV a due componenti, di nome Spherobot. Su un quadro di comando, munito di due joystick, erano accesi diversi monitor ad alta risoluzione. Uno mostrava l'interno del simulatore. Il grandangolo dello Spherobot consentiva di vedere tutta la cisterna, ma riportava l'immagine come se fosse distorta dall'occhio di un pesce.

«Quanti ne apriamo?» chiese Sue.

Le mani di Johanson scivolarono sulla tastiera del comando manuale e l'angolazione della telecamera si alzò leggermente. «Quanti ne servono per una buona cena», rispose. «Almeno una dozzina.»

Una delle parti più strette della cisterna somigliava a un garage aperto a due piani in cui si trovavano alcuni robot sottomarini di diverse dimensioni e teleguidati. Non sarebbe stato possibile operare in altro modo in quel mondo artificiale; inoltre il garage offriva ai costruttori degli AUV e dei ROV la possibilità di testare i loro prodotti nelle condizioni estreme degli abissi marini.

Nel momento in cui Johanson attivò il sistema di guida, sotto uno dei robot si accese una potente luce e due eliche cominciarono a girare. Una slitta rettangolare delle dimensioni di un carrello da supermercato scivolò lentamente fuori dal garage. La parte superiore era coperta e piena di apparecchiature tecnologiche; quella inferiore consisteva in una cesta vuota con pareti dalle maglie fittissime. Il robot scivolò sul fondale marino artificiale verso i granchi e si fermò a breve distanza da un gruppo immobile. Si vedevano chiaramente il guscio arcuato completamente privo di occhi e le potenti chele.

«Passo alla sfera», disse Johanson.

L'immagine deformata divenne una ripresa chiara e precisa.

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