«Va bene», disse Frost. «Pieghiamo l'isola di quarantacinque gradi e solleviamola un po', per vedere meglio. E poi giù con l'aspiratore. Spero che abbia un buon appetito.»
«Ha una fame terribile», sibilò van Maarten.
Completamente srotolata, la proboscide raggiungeva il mezzo chilometro di profondità. Era un mostro di tre metri di diametro, segmentato, isolato col caucciù, che terminava con un'apertura simile a un'enorme bocca, intorno alla quale c'erano proiettori, telecamere ed eliche orientabili. Col comando a distanza, la fine della proboscide poteva essere spostata in alto e in basso, avanti, indietro e di fianco. Nella cabina del pilota arrivavano le immagini delle telecamere dell'isola luminosa e dell'aspiratore, offrendo sia totali sia dettagli. Nonostante la buona visuale, il successo del lavoro dipendeva dalla sensibilità delle dita sul joystick e da un attento copilota, pronto a segnalare qualsiasi cosa fosse sfuggita all'uomo che manovrava.
Per un lungo tratto, la proboscide scese in un'oscurità impenetrabile. I proiettori restarono spenti. Poi l'isola luminosa entrò nel campo visivo. Prima fu solo un vago bagliore nelle tenebre degli abissi marini, poi cominciò a splendere, prese la sua forma rettangolare e infine rivelò il pendio. Era così grande che a Bohrmann ricordava una stazione spaziale. Il tubo continuò a scendere, avvicinandosi ai vermi, finché la loro immagine non riempì completamente i monitor. Ogni minimo particolare dei corpi pelosi era visibile. Scivolavano l'uno sull'altro e s'intrecciavano, con la mandibola estroflessa che sminuzzava il ghiaccio.
Nella sala di controllo era calato un silenzio assoluto.
«Fantastico», sussurrò van Maarten.
«La donna delle pulizie non dovrebbe essere affascinata dalla polvere che c'è in casa.» Con aria truce, Frost scosse il capo. «Si decida a mettere in funzione il suo aspirapolvere e spazzi via quell'orda.»
La proboscide era in realtà una pompa d'aspirazione, che creava una depressione e trascinava dentro di sé tutto ciò che capitava davanti alle sue fauci. Quando si mise in funzione, in realtà non accadde nulla. Evidentemente la pompa aveva bisogno di un po' di tempo per entrare in azione. Bohrmann almeno sperava che fosse così. Nel frattempo i vermi continuavano indisturbati la loro attività distruttrice. Sulla sala di controllo calò un velo di delusione. Nessuno aprì bocca, ma lo stato d'animo di tutti era evidente. Angosciato, Bohrmann fissò i due monitor delle telecamere della proboscide.
Da che cosa dipendeva? La costruzione era troppo lunga? La pompa non era sufficientemente potente?
Mentre stava ancora rimuginando, qualcosa sui monitor cambiò. Pareva che i vermi fossero trascinati via. La parte posteriore dei loro corpi si sollevava, si mettevano verticali, tremavano…
Improvvisamente sfrecciarono davanti alla telecamera.
«Funziona!» Bohrmann sollevò i pugni. Contrariamente alle sue abitudini, aveva lanciato un grido. Avrebbe voluto mettersi a ballare e, perché no?, fare qualche capriola.
«Alleluia!» Frost annuiva freneticamente. «È un giocattolo magnifico! Oh, Signore, permettici di ripulire il mondo dal male!» Si tolse il berretto da baseball, si passò la mano sui capelli e poi lo rimise sulla testa. «E con questo li facciamo fuori!»
Seguirono molti altri vermi, aspirati così velocemente e in tale quantità che sugli schermi si vedevano solo superfici indistinte. Anche le telecamere dell'isola luminosa mostravano quello che avveniva sotto l'imboccatura dell'aspiratore. Vennero aspirati anche dei sedimenti, che si sollevavano in vortici.
«Avanti a sinistra», disse Bohrmann. «O a destra. È lo stesso, l'importante è continuare.»
«Procediamo con un lento movimento a zig-zag», propose van Maarten. «Da un limite all'altro della zona illuminata. Non appena avremo ripulito la zona visibile, muoveremo l'isola e procederemo con gli altri quaranta metri.»
«Molto bene! Faccia così.»
L'aspiratore si muoveva e intanto risucchiava i vermi. In quei punti, l'acqua era così torbida che non si riusciva a vedere il fondale.
«Riusciremo a vedere il risultato dell'operazione soltanto quando i sedimenti nell'acqua si saranno depositati», disse van Maarten. Sembrava notevolmente sollevato. Con un profondo sospirò, sembrò liberarsi della tensione accumulata nel corso di quelle settimane e si appoggiò allo schienale, quasi rilassato. «Ma credo che saremo tutti decisamente soddisfatti.»
Le campane di Trondheim, la domenica mattina. Il campanile in via Kirkegata. Illuminato dal sole, si staglia contro il cielo, una piccola torre sicura di sé, che getta la propria ombra sulle case color ocra dal tetto a capanna e sulla scala d'ingresso, dipinta di bianco. Una piccola torre che infastidisce l'udito.