Frost stava arrivando verso di lui da una gru. Bohrmann gli aveva chiesto di chiamarlo semplicemente Gerd, ma Frost insisteva a usare il nome intero, benché lo pronunciasse in modo un po' strascicato, alla texana. Entrarono insieme nell'edificio di poppa e poi nell'oscurità della sala di controllo. C'erano alcuni uomini del team di Frost e alcuni tecnici della De Beer, compreso Jan van Maarten. Il direttore tecnico aveva compiuto il miracolo promesso. Il primo aspiratore sottomarino di vermi della storia dell'umanità era pronto a entrare in azione.
«Bene, gente», barrì Frost, mentre prendeva posto fra i tecnici. «Che il Signore ci aiuti. Se qui funziona tutto, poi ci dedicheremo alle Hawaii. Ieri è sceso un robot e, sul versante sudorientale, ha scoperto vermi in quantità mostruosa. Saranno attaccate in maniera mirata anche altre isole vulcaniche, almeno questo è ciò che penso. Ma il male non avrà scampo! Lo spazzeremo via col nostro aspiratore. Ripuliremo il mondo da tutta quella robaccia!»
«Buona idea», disse Bohrmann sottovoce. «Qui abbiamo una zona facile da gestire. Forse vorresti ripulire con quest'unico aspiratore tutta la scarpata continentale americana?»
«Sciocchezze!» Frost lo guardò, stupito. «L'ho detto soltanto per motivare gli uomini.»
Bohrmann sollevò le sopracciglia e guardò i monitor. Sperava davvero che quella faccenda funzionasse. Anche se fossero riusciti a spazzare via i vermi, restava sempre aperta la questione di quante colonie di batteri si fossero insediate nel ghiaccio. In segreto, era tormentato dalla preoccupazione che ormai fosse troppo tardi per impedire il crollo del Cumbre Vieja. Di notte, sognava una gigantesca cattedrale d'acqua che si levava fino alle nuvole e sfrecciava sull'oceano verso di lui, e ogni volta si svegliava bagnato di sudore. Tuttavia Bohrmann faceva anche esercizi di ottimismo. Ce l'avrebbero fatta. E forse sull'
Frost tenne un altro infuocato discorso contro tutti i nemici dell'umanità e si sperticò in lodi nei confronti del team della De Beer. Poi diede il segnale di calare l'aspiratore e l'isola luminosa.
L'isola luminosa era una struttura gigantesca, composta da potenti proiettori ad ampio fascio luminoso e ripiegata su se stessa. Al momento, dato che era appesa al braccio della gru, formava un compatto fascio di stanghe e puntoni, lungo dieci metri e pieno di luci e telecamere. Venne abbassata e scomparve in mare. Era collegata all'
Van Maarten trasmise l'ordine ai piloti. «Aprire», aggiunse. «Prima solo metà della superficie. Se non urtiamo da nessuna parte, aprirla completamente.»
A quattrocento metri di profondità, avvenne un'elegante metamorfosi. Il fascio si dispiegò in una costruzione sottile. Se il telaio non avesse trovato resistenza, l'isola avrebbe continuato ad aprirsi. E così fu: il risultato fu una sorta di grata dalle dimensioni di mezzo campo da calcio.
«Pronto a entrare in azione», comunicò il pilota.
Frost gettò un'occhiata agli strumenti. «Dovremmo essere vicinissimi alla parete.»
«Luci e telecamere», ordinò van Maarten.
Sulla costruzione si accesero file e file di lampade alogene. Contemporaneamente le otto telecamere iniziarono il loro lavoro. Sui monitor apparve un panorama torbido. Il plancton galleggiava in mezzo all'immagine.
«Più vicino», disse van Maarten.
I riflettori si spostarono in avanti, mossi da piccole eliche orientabili. Dopo qualche minuto, dall'oscurità uscì una struttura frastagliata: una parete di lava nera dalla forma bizzarra.
«Più in basso.»
L'isola si abbassò. Il pilota la guidava con estrema cautela. Il sonar rivelò la presenza di una sporgenza a forma di terrazza. D'un tratto, vicinissimo, apparve un ampio crinale, letteralmente tappezzato di corpicini formicolanti. Bohrmann fissò gli otto monitor e sentì crescere lo scoramento. Stava incontrando nuovamente l'incubo che lo aveva accompagnato fin dal collasso della scarpata continentale norvegese. Se tutto era come nei quaranta metri che gli elementi luminosi riuscivano a strappare all'oscurità, allora potevano anche lasciare perdere.
«Schifosi, piccoli, sudici vermi», ringhiò Frost.
Poi si vergognò della propria paura. Non era detto che i vermi avessero già depositato il loro carico di batteri e soprattutto c'era la possibilità che tale carico non fosse sufficiente. Inoltre c'era ancora quel misterioso fattore che aveva dato il colpo definitivo per lo smottamento. Non era troppo tardi. Ma dovevano fare molto in fretta.