Mentre percorreva la rampa, il suo umore era notevolmente migliorato. Al livello 3 prese una diramazione e arrivò davanti a una porticina chiusa. Inserì il suo codice numerico. La porta si aprì e Rubin entrò in un corridoio. Lo percorse sino in fondo e lì trovò un'altra porta chiusa. Stavolta, quando inserì il codice, sulla console si accese una lampadina verde. C'era un obiettivo collocato dietro una finestrella di vetro. Rubin si mise vicinissimo al vetro e guardò con l'occhio destro nella lente che scansionò la sua retina e diede l'okay al sistema.
La porta si aprì e lui entrò in una grande sala in penombra, piena di computer e monitor, molto simile al CIC. Al quadro di comando erano seduti militari e civili. L'aria era percorsa da costanti ronzii. Judith Li, Jack Vanderbilt e Salomon Peak erano a un grande tavolo per le carte nautiche illuminato dall'interno.
Peak alzò lo sguardo. «Venga», disse.
Rubin si avvicinò, improvvisamente incerto. Nel corso della notte si erano telefonati, scambiandosi informazioni stringate. Il tono dell'uomo era sempre stato asciutto. Adesso era diventato gelido.
Rubin decise di forzare i tempi. «Stiamo procedendo», esordì. «Facciamo sempre un passo avanti e…»
«Si sieda», disse Vanderbilt, indicandogli con un rapido gesto una sedia dalla parte opposta del tavolo. Rubin obbedì. I tre rimasero in piedi, così lui si ritrovò in una posizione che lo metteva a disagio. Si sentiva come davanti a un tribunale.
«Quello che è successo la notte scorsa è stato stupido», aggiunse.
«Stupido?» Vanderbilt batté con le nocche sul piano del tavolo. «Maledetto idiota. In altre circostanze l'avrei gettata in mare.»
«Un momento, io…»
«Perché lo ha colpito?»
«Cosa avrei dovuto fare?»
«Prestare maggiore attenzione. Incapace! Non avrebbe dovuto farlo entrare.»
«Non è stato un errore mio», aggiunse Rubin. «È la vostra gente che controlla chi si gratta il culo mentre dorme!»
«Perché ha aperto quella maledetta paratia?»
«Perché… Sì, pensavo che forse avremmo avuto bisogno…»
«Di cosa?»
«Stia attento, Rubin», disse Peak. «La paratia sul ponte dell'hangar ha una sola funzione, e lei sa qual è. Far entrare e uscire il materiale esplosivo.» I suoi occhi fiammeggiavano. «Allora, la notte scorsa che cosa aveva da fare di tanto importante da dover aprire la paratia?»
Rubin si morse le labbra.
«Lei è stato semplicemente troppo pigro per prendere la strada dall'interno della nave, il punto è questo.»
«Come può dire una cosa simile?»
«È la verità.» Judith Li superò il tavolo e si sedette sul bordo. Lo guardava con aria indulgente, quasi amichevole. «Lei ha detto agli altri che andava a prendere un po' d'aria.»
Rubin si afflosciò sulla sedia. Ovvio che l'aveva detto. E ovviamente i sistemi di sorveglianza l'avevano registrato.
«E più tardi è tornato a prendere un po' d'aria.»
«Sembrava che sul ponte non ci fosse nessuno», si difese lui. «E la vostra gente non ha comunicato nulla in contrario.»
«Ma come, Mick? La sorveglianza non ha detto nulla perché lei non ha fatto nessuna richiesta. Lei ha l'obbligo di chiedere il permesso ogni volta che vuole aprire la paratia. Quelli non potevano comunicarle nulla.»
«Mi dispiace», disse Rubin.
«Per essere onesti, ammetterò che pure qui non tutto ha funzionato secondo i piani. Ci è sfuggita la seconda passeggiata di Johanson sul ponte dell'hangar. Inoltre, preparando la missione, abbiamo commesso l'errore di non installare un sistema di ascolto senza buchi. Per esempio, non sappiamo che cosa si siano detti Sue Oliviera e Sigur Johanson quando hanno fatto il loro piccolo party sul ponte dell'hangar, e purtroppo non abbiamo potuto sentire neppure la conversazione sulla rampa. Ma questo non cambia il fatto che lei si sia comportato da stupido.»
«Prometto che non succederà più…»
«Lei è un rischio per la sicurezza, Mick. Un imbecille senza cervello. E anche se non sempre la penso come Jack, stia sicuro che lo aiuterò a gettarla in mare, se si dovesse ripetere una cosa del genere. Mi procurerò un paio di squali e me ne starò a guardare con soddisfazione mentre le strappano il cuore. Ha capito? Io la ucciderò.» Gli occhi acquamarina splendevano nel volto di Judith Li e avevano un'aria amichevole, ma Rubin sospettava che quella donna non avrebbe esitato un attimo a tradurre in realtà le sue minacce.
Aveva paura di lei.
«Vedo che ha capito.» Judith Li gli diede una pacca sulle spalle e tornò dagli altri. «Bene. Contenimento dei danni. La droga fa effetto?»