Bohrmann fece scivolare le pinne sul bordo. Ogni minimo movimento con indosso la tuta era una vera sfacchinata. Fece un profondo respiro e si lasciò cadere in avanti. L'acqua lo colpì. Fece una capriola completa, vide le luci della chiusa scivolare sopra di lui e poi ritornò in posizione verticale. Sprofondò lungo il tunnel verso il mare aperto, finché non si trovò in mezzo a un banco di pesci. Corpi splendenti scorrevano a migliaia in tutte le direzioni, formando una spirale vivente. Poi si ammassarono. Il banco cambiò diverse volte la propria forma, infine si distese e fuggì via. Bohrmann scorse di fianco a sé il Trackhound e continuò ad affondare. Sopra di lui, la chiusa splendeva nello scafo scuro del galleggiante. Sbatté le pinne e si rese conto che la sua posizione si stabilizzava. Ormai non sentiva più il peso della tuta. Anzi era perfettamente a proprio agio. Un sommergibile portatile.
Frost lo seguì, avvolto in un bozzolo di bolle. Giunse all'altezza di Bohrmann e lo guardò attraverso il vetro del casco. In quel momento, Bohrmann si rese conto che l'americano portava il berretto da baseball anche nell'Exosuit.
«Come ti senti?» chiese Frost.
«Come R2-D2, fratellone.»
Frost sorrise. L'elica del suo Trackhound si mise a girare. Immediatamente, il robot abbassò il muso e trascinò il vulcanologo verso gli abissi. Bohrmann mise in funzione il programma. Ci fu una spinta e lui precipitò a testa in giù. Di colpo, tutto divenne buio. Van Maarten aveva ragione. Si andava davvero veloci. Già dopo pochissimo tempo intorno a loro regnavano le tenebre più fitte. Non si vedeva altro che la luce diffusa irraggiata dalle macchine.
Con sua grande sorpresa, l'oscurità gli provocò un senso di malessere. Era stato seduto migliaia di volte davanti a un monitor a sorvegliare le immersioni dei robot che si calavano nelle profondità abissali. Con l'
Sperava che il Trackhound fosse stato programmato correttamente, altrimenti sarebbe finito chissà dove.
Il proiettore illuminava una pioggia di plancton e, nel casco di Bohrmann, risuonava il suo ronzio elettronico. Più avanti, notò un essere filiforme che, con movimenti indolenti e pulsanti, galleggiava nella notte. Era una medusa degli abissi di una bellezza incredibile, che emetteva segnali luminosi circolari, come una navicella spaziale. Bohrmann sperava che non fosse il segnale di pericolo dovuto a qualche mostro che la inseguiva. Poi la medusa sparì. Altre meduse s'illuminarono a grande distanza, e improvvisamente si allargò davanti a lui una nuvola bianca e luccicante. Sobbalzò. Ma la nuvola era bianca, non blu, e la bioluminescenza era debole, poi sparì. Bohrmann capì che si trattava di un
Il «cane» tirava e tirava.
Bohrmann scrutava gli abissi alla ricerca della luce dell'isola, ma non si vedeva altro che il nero e il punto chiaro davanti a lui: era Frost, che stava scendendo velocemente. Ammesso che stesse davvero scendendo. Due luci immobili, la sua e quella di Frost, in un universo senza stelle. «Stanley?»
«Che c'è?»
La risposta immediata lo tranquillizzò. «Ben presto dovremmo vedere qualcosa, no?»
«Sei impaziente, amico mio. Guarda il tuo display. Siamo solo a duecento metri.»
«Oh, certo. Naturalmente.»
Bohrmann non osò chiedere a Frost se aveva fiducia nel programma dei Trackhound, quindi rimase in silenzio e cercò di controllare il crescente nervosismo. Cominciò a sperare nella presenza di qualche medusa, ma non apparve nulla. Il robot continuava a ronzare. Poi, improvvisamente, cambiò direzione.
Là c'era qualcosa. Bohrmann aguzzò la vista. In lontananza risplendeva un alone luminoso, appena intuibile, ma di una forma vagamente rettangolare.
Si sentì sollevato.
Come sembrava piccola l'isola luminosa.
La luce si avvicinò e divenne più chiara. A poco a poco, lui riconobbe i singoli proiettori allineati lungo le sbarre. Continuò ad avanzare verso l'isola e, d'un tratto, la vide sospesa sopra di lui, luminosa e gigantesca. Naturalmente era lui a galleggiare sopra l'isola, ma la discesa a testa in giù gli aveva fatto perdere l'orientamento. Quindi divenne visibile anche la terrazza. Poco dopo, Bohrmann scorse Frost, un'ombra trascinata dal siluro che teneva al guinzaglio e che si dirigeva verso quello che appariva come un campo da calcio pieno di riflettori. Davanti a loro, tutto era illuminato. La terrazza sospesa, il tubo serpentino dell'aspiratore, i detriti che ne bloccavano l'apertura…
Il brulichio dei vermi.
«Spegni il 'cane' prima di sbattere contro l'isola luminosa», disse Frost. «Gli ultimi metri li facciamo a nuoto.»