Sembrava quasi che fosse la megattera a osservare Anawak, non il contrario. E non era interessata allo zodiac. Il suo occhio, collocato tra palpebre rugose come quelle degli elefanti, fissava esclusivamente la persona sul gommone. Sott'acqua, la sua vista era acutissima, ma la marcata curvatura dei cristallini la condannava alla miopia non appena abbandonava il suo elemento naturale. Tuttavia, a una distanza così ravvicinata, era in grado di vedere perfettamente Anawak.
Lentamente, per non spaventare l'animale, lui allungò la mano e gli accarezzò la pelle liscia e umida. La megattera non fece neppure cenno d'immergersi. Il suo occhio si spostò, poi puntò di nuovo su Anawak. Era una scena d'intimità quasi grottesca, un momento di felicità assoluta, ma Anawak si chiedeva a che cosa stesse mirando l'animale con quella lunga osservazione. In generale, le occhiate dei mammiferi duravano pochi secondi. Per i cetacei era molto faticoso rimanere in posizione verticale.
«Dove sei stata per così tanto tempo?» chiese a bassa voce.
Un tonfo appena percepibile arrivò dall'altra parte dello zodiac. Anawak si voltò appena in tempo per vedere un'altra testa levarsi. La seconda megattera era un po' più piccola, ma altrettanto vicina. Anch'essa fissava Anawak.
Lui non provò neppure ad accarezzare l'altro animale.
Che cosa volevano?
Cominciò a sentirsi a disagio. Era insolito, per non dire bizzarro, sentirsi osservato. Una cosa simile non gli era mai capitata. Tuttavia, si chinò sulla borsa, tirò fuori in fretta la fotocamera digitale, la sollevò e disse: «Non muovetevi».
Forse aveva commesso un errore. Se era così, era la prima volta nella storia del whale watching che le megattere mostravano un'esplicita avversione per le macchine fotografiche. Come dietro comando, le due teste gigantesche tornarono a immergersi. Sembravano due isole che sprofondano in mare. Un leggero gorgoglio, qualche bolla… e Anawak era di nuovo solo in quell'immensità rilucente.
Si guardò intorno.
Il sole era ormai sorto e, tra le montagne, si stendeva la foschia. La piatta superficie del mare si tingeva di blu.
Non c'erano megattere.
Anawak ansimò. Solo in quel momento si rese conto che il cuore gli batteva all'impazzata. Rimise la macchina fotografica nella borsa, riprese il binocolo, poi cambiò idea. I suoi nuovi amici non potevano essere lontani. Prese il registratore, si mise le cuffie e lasciò scivolare lentamente in acqua l'idrofono. I microfoni subacquei erano così sensibili da riuscire a cogliere anche il rumore delle bolle d'aria in risalita. Sentì fruscii e rimbombi, ma nulla che potesse essere ricondotto alle megattere. Anawak attese il loro caratteristico verso. Non sentì nulla.
Infine riportò a bordo l'idrofono.
Dopo un po', a una certa distanza scorse le nuvole del respiro vaporizzato. Ma non le seguì. Che gli piacesse o no, era giunto il momento di rientrare.
Mentre tornava a Tofino, immaginò la reazione entusiasta dei turisti se quello spettacolo si fosse ripetuto. Ne avrebbero parlato a tutti. La Davies e le sue balene ammaestrate. Sarebbero stati sommersi dalle richieste.
Fantastico!
Lo zodiac avanzava sulle acque tranquille, e lo sguardo di Anawak si posò sulle foreste vicine.
Forse un po' troppo fantastico.
23 marzo
Trondheim, Norvegia
Sigur Johanson fu strappato al sonno da un suono acuto. Cercò tastoni la sveglia, finché non si rese conto che era il telefono. Si sollevò, imprecando, e stropicciandosi gli occhi. Ma il suo senso dell'orientamento sembrava non volersi attivare e lui ricadde all'indietro. Gli girava la testa.
Cos'era successo la sera prima? Aveva fatto bisboccia con alcuni colleghi. C'erano anche degli studenti. Erano partiti con l'intenzione di andare a cena all'Havfruen, un ristorante situato all'interno di un magazzino dismesso nei pressi del Gamie Bybru, l'antico ponte della città. All'Havfruen proponevano raffinati piatti di pesce e alcuni buoni vini. Alcuni ottimi vini, ricordò improvvisamente. Erano rimasti seduti a un tavolo vicino alla finestra e avevano guardato il fiume Nidelva, coi moli e con le piccole imbarcazioni private, osservando come scorresse lentamente verso il fiordo di Trondheim. Anche nelle loro gole il vino scorreva a fiumi. Qualcuno si era messo a raccontare barzellette. Poi Johanson era sceso col proprietario in una cantina umida e si era fatto mostrare i tesori ottimamente conservati e gelosamente custoditi.
Il problema di quella mattina era dovuto al fatto che il proprietario aveva stappato alcuni di quei tesori. E forse non era neppure l'unico problema.