Infatti la trovò nel padiglione del bacino, intenta a discutere con un gruppo di scienziati. La scena faceva uno strano effetto. Nell'acqua c'erano alcuni sommozzatori che nuotavano intorno a una piattaforma di estrazione formato giocattolo. Petroliere in miniatura navigavano in mezzo alle barche a remi dei tecnici. A una prima occhiata, sembrava un incrocio tra un laboratorio, un negozio di giocattoli e un laghetto per le gite in barca durante le domeniche estive; ma la prima impressione ingannava. Senza il Marintek, il settore offshore praticamente non sarebbe esistito.
Tina lo vide e interruppe la conversazione. Gli andò incontro, ma, per farlo, fu costretta a girare intorno alla vasca. Come sempre, si muoveva a passi rapidi.
«Perché non hai usato la barca?» chiese Johanson.
«Non siamo al laghetto del parco», ribatté Tina. «Tutto deve essere perfettamente coordinato. Se passo in mezzo alla simulazione provocando delle onde, centinaia di lavoratori petroliferi perderebbero la vita e la responsabilità sarebbe mia.» Gli diede un bacio sulla guancia. «Oh, Sigur… Pungi.»
«Tutti gli uomini con la barba pungono», borbottò luì. «Puoi essere contenta che Kare si rada, altrimenti non avresti nessun motivo per preferirlo a me. A che cosa state lavorando? Alla soluzione dei vostri problemi sottomarini?»
«Nei limiti del possibile. La piscina ci consente simulazioni realistiche fino a mille metri; a profondità superiori, i dati sono troppo imprecisi.»
«Comunque è sufficiente per il vostro progetto.»
«Certo, ma usiamo anche i computer per elaborare scenari alternativi. A volte si discostano dai risultati del bacino, allora cambiamo i parametri finché non raggiungiamo un allineamento soddisfacente.»
«La Shell mira a una stazione posta a duemila metri di profondità. L'ho letto ieri sul giornale. Avete concorrenza.»
«Lo so. La Shell ha incaricato il Marintek. È una bella gatta da pelare. Vieni, andiamo a fare colazione.»
Una volta in corridoio, Johanson disse: «Continuo a non capire perché non volete utilizzare le SWOP. Non è più facile lavorare da una costruzione galleggiante, se riuscite ad andare in profondità con le tubature flessibili?»
Lei scosse la testa. «Troppo rischioso. Le costruzioni galleggianti devono essere ancorate…»
«Lo so, tutte…» la interruppe lui.
«… e possono staccarsi», finì Tina.
«Però tutte le piattaforme sono ancorate allo zoccolo continentale.»
«Si, ma a profondità minori. Più in basso ci sono correnti di altro tipo e un diverso moto ondoso. Ma non è solo il problema dell'ancoraggio. Se le condutture di estrazione vengono spinte a profondità elevate, diventano instabili e noi non vogliamo un disastro ecologico. Inoltre non si troverebbe nessuno disposto a lavorare tanto al largo su un ponte galleggiante. Persino i più incalliti vomiterebbero anche l'anima. Andiamo di qua.»
Salirono una scala.
«Credevo che andassimo a colazione», disse Johanson sorpreso.
«Certo, ma prima voglio mostrarti una cosa.»
Tina spalancò una porta. Si trovavano in un ufficio proprio sopra il padiglione del bacino. Dall'ampia finestra si vedevano file di case coi tetti spioventi illuminati dal sole e parchi che si estendevano verso il fiordo.
«Che magnifica mattinata», mormorò Johanson.
Tina si avvicinò a una scrivania. Prese due sedie di resopal e aprì un laptop dall'ampio schermo. Mentre il computer caricava il programma, la donna tamburellava sul piano del tavolo. Infine comparvero alcune fotografie che lui conosceva. Mostravano una macchia chiara, lattiginosa, che ai bordi si perdeva nel nero.
«Sono le immagini riprese da Victor. Quella cosa sulla scarpata», disse Johanson.
«Quella cosa che non mi dà pace», confermò Tina.
«Avete scoperto cos'è?»
«No, però sappiamo che cosa
«Senza luce, a quella profondità, non avreste visto nulla», osservò lui.
«Infatti!»
«A meno che non si sia di fronte a un caso di bioluminescenza…» Si bloccò.
Tina gli scoccò un'occhiata soddisfatta. Le sue dita danzarono sulla tastiera e l'immagine cambiò di nuovo. Stavolta apparve un dettaglio del bordo superiore destro. Proprio dove la chiazza illuminata si perdeva nel buio s'intravedeva qualcosa. Una luminosità di un blu intenso attraversata da linee più chiare. «Se s'illumina un oggetto luminoso, non si vede più nulla della sua luminosità. E i riflettori di Victor abbagliano tutto. Tranne ai margini, dove la luce si disperde. Lì si riesce a riconoscere qualcosa. A mio giudizio è la prova che abbiamo a che fare con un essere luminoso. E anche molto grande», disse lei.