Nella grotta arrivò un po' più di luce. La corrente lungo lo zoccolo del vulcano portava con sé le particelle di sedimenti. Se quello che van Maarten aveva detto era vero, ben presto la luce sarebbe sparita completamente e lui si sarebbe trovato solo nel mare tenebroso. Finché non fosse arrivato qualcuno a salvarlo da un centinaio di pesci martello.
Dotati di un'intelligenza sconosciuta.
Nessuno squalo che avesse seguito il proprio istinto naturale sarebbe entrato nel campo elettrico. Nessun pesce martello avrebbe attaccato due sommozzatori nell'Exosuit, ma, in caso l'avesse fatto, avrebbe rinunciato subito. I pesci martello erano considerati potenzialmente pericolosi e di una curiosità snervante, ma in genere giravano al largo da tutto ciò che sembrava loro sospetto.
Normalmente non nuotavano neppure nelle fenditure delle rocce.
Bohrmann se ne stava accovacciato nella sua grotta, provvisto di ossigeno per altre venti ore e con un sistema antisqualo che non funzionava. Quando gli uomini di van Maarten fossero scesi, sperava di non assistere a un'altra carneficina.
Una carneficina nelle tenebre.
Spense il proiettore del Trackhound per risparmiare la batteria e fu immediatamente avvolto dall'oscurità. Una debole luce penetrava nella fenditura.
Una luce sempre più debole.
Johanson non trovava pace.
Era stato nel ponte a pozzo, dove, sotto la sorveglianza di Rubin, gli uomini del generale Li stavano provvedendo al trasferimento della massa gelatinosa nel simulatore. La cisterna era stata completamente svuotata e decontaminata. I granchi infettati dalla
«L'orrore è indescrivibile», aveva detto Judith Li nel corso di una riunione improvvisata. «Siamo tutti profondamente colpiti. Hanno cercato di demoralizzarci, di distruggerci. Ma noi non ci dobbiamo fermare. Di certo vi chiederete se questa nave è ancora sicura e io posso rispondervi: assolutamente sì! Finché non diamo al nemico la possibilità di entrare, a bordo dell'
Johanson andò sul ponte di volo, dove il servizio di bordo era impegnato a sgombrare tavoli, sedie e tutto ciò che era rimasto dopo la brusca interruzione del party. Nel cielo c'era ancora il sole, il mare aveva il solito aspetto. Non c'erano luci blu, non c'erano lampi. Nessun sogno luminoso che si trasformava in un incubo.
Tentò di ricostruire l'andamento dei suoi pensieri, interrotto dall'arrivo di Judith Li e dai tentativi della donna d'interrogarlo sulla sua avventura notturna. Ormai aveva capito due cose. Judith Li sapeva che cos'era successo realmente. Però non era sicura di cosa effettivamente lui ricordasse e se stesse dicendo la verità. E quello la preoccupava.
Gli avevano mentito. Non era caduto.
Era stato sul punto di accettare quella versione. Poi Sue, mentre entravano nel laboratorio, gli aveva detto una cosa: la notte precedente, a lui era sembrato di aver visto Rubin entrare in una porta segreta nel ponte dell'hangar. Se lei non avesse fatto quel commento, Johanson non se ne sarebbe ricordato affatto e avrebbe accettato le spiegazioni sull'incidente date da Angeli e dagli altri. Invece la frase di Sue aveva messo in moto qualcosa e il cervello di Johanson stava iniziando a riprogrammarsi. C'erano immagini misteriose che andavano e venivano. Cercò di riflettere, fissando il mare. Poi, d'un tratto, rivide tutto: stava seduto con Sue sulla cassa, a bere del vino e… Rubin era entrato nella porta dell'hangar! Quella porta era lontana, ma un'altra immagine gli suggeriva che lui era vicinissimo. Per Johanson ciò costituiva una prova sufficiente a stabilire l'esistenza di quel passaggio segreto.
Ma cos'era successo in seguito?
Erano andati in laboratorio. Poi lui era tornato sul ponte dell'hangar. Perché? Aveva a che fare con quella porta?
Oppure stava immaginando tutto?