Il tubo si mise a pulsare. Al suo interno veniva pompata dell'acqua, che proveniva da luoghi lontani. La sottilissima gelatina la aspirava da un grande pallone organico che stava sospeso un po' più in alto del batiscafo, ed era pieno di acqua più calda. La gelatina aveva preso quell'acqua dal vulcano di fango al largo della costa norvegese. Grazie all'acqua calda, e quindi più leggera, il pallone avrebbe potuto salire fino in superficie, ma il suo peso lo teneva in perfetto equilibrio.
Il calore fluiva nell'involucro di gelatina che racchiudeva il batiscafo.
I frammenti bianchi reagirono all'istante. Nel giro di qualche secondo, le gabbie di cristallo degli idrati si sciolsero. Come in un'esplosione, il metano compresso si espanse fino a centosessantaquattro volte il suo volume, riempì il Deepflight di gas e gonfiò l'involucro, finché questo non si tese. Il bozzolo di gelatina si staccò dal tubo e si chiuse. Il gas non poteva più uscire. Cominciò a salire verso l'alto, prima lentamente, poi, col diminuire della pressione, sempre più velocemente. Era un bozzolo che trascinava dentro di sé il batiscafo.
Laboratorio
Karen continuò a tenere stretto Rubin e a puntargli la lama alla gola, ma non riuscirono ad uscire. La porta del laboratorio scivolò di lato. Tre soldati muniti di armi balzarono all'interno e le puntarono contro di loro. Karen sentì Sue emettere un grido di terrore e si fermò, senza tuttavia mollare Rubin.
Judith Li entrò nel laboratorio seguita da Peak. «Lei non andrà da nessuna parte, Karen.»
«Jude», ansimò Rubin. «Era ora che arrivaste! Mi liberi da questa pazza.»
«Stia zitto», gli ordinò Peak. «Senza di lei non saremmo in una situazione così difficile.»
Judith Li sorrise. «Davvero, Karen», disse con tono affabile. «Non crede che la sua reazione sia un po' esagerata?»
«Rispetto a quello che ha raccontato Mick?» Karen scosse la testa. «No, non credo.»
«E che ha raccontato?»
«Oh, Mick è stato molto loquace. Non è vero, Mick? Ci hai traditi tutti.»
«Mente», gracchiò Rubin.
«Ha parlato di una reazione a catena, di veleno nelle testate dei siluri e del Deepflight 3. Ha anche accennato al fatto che voi due volete fare una gita, entro un paio d'ore.»
«Mah», fece Judith Li e avanzò di un passo. Karen afferrò Rubin e lo trascinò indietro, verso Sue. La biologa stava vicino al tavolo del laboratorio ed era come pietrificata. Aveva ancora in mano la valigetta con le provette che contenevano il feromone. «Sa una cosa? Mick Rubin è forse il miglior biologo del mondo, però soffre di un complesso d'inferiorità», riprese Judith Li. «Vorrebbe tanto essere famoso. L'idea che il suo nome non venga tramandato ai posteri lo fa impazzire. Questo spiega il suo esagerato bisogno di comunicare. Lo guardi. Sarebbe capace di vendere sua madre per un po' di notorietà.» Si fermò. «Ma ormai non ha più importanza. Visto che sa che cosa vogliamo fare, si renderà anche conto delle necessità che dobbiamo affrontare. Ho fatto il possibile per evitare un'escalation, ma, giacché tutti sono al corrente del nostro piano, non mi rimane altra scelta.»
«Ragioni, Karen», la supplicò Peak. «Lo lasci andare.»
«Non lo farò», replicò lei. «Mi è utile. Con la sua copertura, potremo parlare di tutto.»
«No, non parleremo più.» Judith Li estrasse la pistola e la puntò su Karen. «Lo liberi, Karen. Immediatamente, altrimenti le sparo. È la mia ultima offerta.»
Karen guardò la piccola bocca nera della pistola. «Non arriverà a tanto», disse.
«Ah, no?»
«Non ha nessun motivo per farlo.»
«Sta commettendo un errore, Jude», intervenne Sue con voce roca. «Non può usare quel veleno. Ho già spiegato a Mick che…»
Judith spostò l'arma, la puntò contro Sue e sparò. La biologa fu scaraventata contro il tavolo e poi scivolò a terra. La valigetta con le provette le cadde di mano. Per un secondo, la donna fissò con sguardo incredulo il buco, grande come un pugno, che si era formato nel suo petto, poi i suoi occhi divennero vitrei.
«No!» gridò Peak. «Per l'amor del cielo, che sta facendo?»
L'arma ritornò su Karen. «Lo lasci andare», ripeté Judith Li.
Elevatore esterno
«Dottor Johanson!»
Johanson si girò e vide Vanderbilt e Anderson. Stavano venendo verso di lui lungo la piattaforma. Anderson sembrava apatico, distaccato, con le pupille nere fisse in un punto indefinito, mentre Vanderbilt sfoggiava un largo sorriso. «Deve essere furioso con noi», disse, con un tono e con un atteggiamento amichevole. Johanson scrutò i due uomini. Si trovava alla fine della piattaforma, a pochi metri dal bordo. Violenti colpi di vento gli sferzavano il viso. Sotto di lui, le onde rombavano. Un istante prima, aveva deciso di rientrare. «Cosa la porta qui, Jack?»
«Niente di particolare.» Vanderbilt sollevò le mani in un gesto di scusa. «Sa, volevo semplicemente dirle che ci dispiace. È assolutamente inutile litigare. Tutta questa stupida storia… Non trova anche lei?»