Piuttosto avrebbe vuotato le bottiglie nel mar di Groenlandia. Si poteva preservare il bello anche non condividendolo con determinate persone.
Judith Li
Quando raggiunse il ponte dell'hangar era affannata.
Le dense nuvole di fumo bloccavano quasi completamente la visuale, tuttavia le sembrò di vedere in lontananza una figura che correva avanti e indietro.
Poi sentì: «Sam! Samantha!»
Era stato Anawak a gridare?
Esitò. A cosa sarebbe servito eliminarlo, ormai? Le ultime paratie a prua potevano cedere da un momento all'altro e la nave si sarebbe spezzata. A quel punto, l'
Corse verso la rampa e vide un buco pieno di fumo. Le si strinse lo stomaco. Non aveva paura e tantomeno considerava quella discesa superiore alle sue forze, però si chiese come avrebbe fatto a scendere coi due tubi. Se le fossero scivolati di mano, sarebbero finiti nell'acqua scura.
Mise i piedi di traverso e cominciò a scendere la rampa, un passo alla volta. Intorno a lei, buio opprimente e fumo soffocante. I suoi stivali risuonavano contro l'acciaio scanalato.
Perse l'equilibrio e cadde con le gambe distese in avanti. Poi scivolò a folle velocità. Serrava i due tubi tra le braccia, ma sentiva dolorosamente la ruvida superficie della rampa e i travetti che le martellavano l'osso sacro. Poi si ribaltò e vide l'acqua nera che si avvicinava.
Cadde e non vide più niente. Poi riemerse, boccheggiando.
Non aveva lasciato andare i tubi!
Dalle pareti del tunnel provenivano gemiti cupi. Judith Li si mosse, nuotò silenziosamente, superò il gomito e si diresse verso il ponte a pozzo. Nel tunnel l'illuminazione era spenta, ma il ponte a pozzo disponeva di un sistema elettrico autonomo. Oltre, c'era più luce. Nell'avvicinarsi, vide il molo sollevato, il coperchio di chiusura di poppa che pendeva minaccioso sul bacino artificiale e i due batiscafi, uno dei quali ondeggiava all'altezza del molo.
E sul Deepflight 3 c'era Johanson, in equilibrio precario, con indosso una tuta di neoprene.
Ponte di volo
Samantha Crowe non ce la faceva più.
Sì, il cuoco pakistano aveva le sigarette, ma per il resto non era di grande aiuto. Se ne stava accucciato a frignare e non era in grado di elaborare uno straccio di piano. A dire la verità, neppure Samantha sapeva che cosa fare. Guardava sbigottita le fiamme che divampavano, ma odiava anche soltanto l'idea di arrendersi. Dopo aver trascorso anni — decenni — ad ascoltare l'universo nella speranza di ricevere segnali da intelligenze aliene, arrendersi era impensabile. Quella cosa non poteva rientrare nel suo repertorio.
Improvvisamente si sentì un boato. Sull'isola si allargò una nuvola incandescente, che esplose come se fosse un fuoco d'artificio. Un'ondata di violente vibrazioni attraversò il ponte di coperta, poi alcune fontane di fuoco saettarono verso Samantha e il cuoco.
Urlando, l'uomo balzò in piedi, fece un salto indietro, inciampò e cadde fuori bordo. Samantha cercò di afferrare il suo braccio teso. Per qualche istante, il cuoco la fissò, col volto deformato dal terrore, poi cadde nell'abisso. Colpì il portellone di poppa inclinato, venne trascinato via e sparì. Le urla finirono. Samantha sentì un tonfo, si ritrasse, atterrita, e girò la testa.
Era in mezzo alle fiamme. L'asfalto bruciava tutt'intorno a lei. Il calore sembrava insopportabile. Solo la parte di dritta era stata risparmiata dalle fiamme. Per la prima volta, Samantha sentì nascere dentro di sé una vera disperazione. Non c'era più speranza. Al massimo poteva ritardare la morte, nient'altro.
Il calore la costrinse a spostarsi indietro. Corse verso destra, dove c'era il raccordo dell'elevatore esterno.
Che doveva fare?
«Sam!»
Adesso aveva anche le allucinazioni! Qualcuno aveva gridato il suo nome? Impossibile.
«Sam! Samantha!»
No, non era un'allucinazione. Qualcuno stava gridando il suo nome.
«Qui!» urlò. «Sono qui.»
Si guardò intorno, con gli occhi sgranati. Da dove proveniva la voce? Sul ponte di volo non vedeva nessuno.
Poi comprese.
Con cautela, per non cadere, si chinò oltre il bordo. L'aria era piena di fumo, tuttavia vide chiaramente sotto di lei la piattaforma inclinata dell'elevatore esterno.
«Sam?»
«Qui! Qui in alto!» Urlava fino a sputare l'anima. Qualcuno arrivò di corsa sulla piattaforma e sollevò la testa.
Era Anawak.
«Leon!» gridò. «Sono qui!»
«Mio Dio, Sam.» La fissò. «Aspetta. Resta lì, vengo a prenderti.»
«E come, ragazzo mio?»
«Salgo.»
«Non si può più salire», gridò lei. «Qui è tutto in preda delle fiamme. L'isola, il ponte di volo… C'è un inferno di fuoco che farebbe impallidire qualsiasi film catastrofico.»
Anawak correva nervosamente avanti e indietro. «Dov'è Murray?»
«Morto.»
«Dobbiamo andarcene, Sam.»
«Grazie per l'attenzione che mi riservi.»
«Sei sportiva?»
«Come?»
«Sai saltare?»