«No, negli istituti, nelle università, presso gente come quelli di Kiel. Non si fanno ricerche in tutto il mondo sugli idrati di metano?»
«Certo, ma…»
«E rivolgersi ai biologi, ai biologi marini! Ai sommozzatori dilettanti! E chissà a chi altro!» urlò lei. «Forse… Forse potresti fare tutto tu. Potremmo darti un finanziamento. Sì, è la cosa migliore: chiamo Skaugen e gli chiedo di fissare un budget! Potremmo…»
«Ehi, calma!»
«Sarebbe un lavoro ben pagato, a prescindere dal fatto che non avresti molto da fare.»
«Sarebbe un pasticcio. Voi potreste farlo altrettanto bene.»
«Sarebbe meglio se lo facessi tu. Tu sei neutrale.»
«Accidenti, Tina.»
«Nel tempo di questa telefonata avresti potuto chiamare già tre volte lo Smithsonian Institute. Ti prego, Sigur, sarebbe semplicemente… Cerca di capire: se come gruppo industriale esponessimo i nostri interessi vitali, avremmo addosso migliaia di organizzazioni ambientaliste. Aspettano solo quello.»
«Ah-ah! Allora avete interesse a nascondere tutto sotto il tappeto.»
«Sei un bastardo.»
«Talvolta.»
Tina sospirò. «E allora, secondo te, cosa dovremmo fare? Non credi che tutto il mondo ci accuserebbe delle cose peggiori? Ti giuro che la Statoil non farà nulla sinché non avremo chiarito il ruolo di questi vermi. Ma, se andassimo ufficialmente a bussare a troppe porte, la voce correrebbe, finiremmo subito nel mirino e non potremmo più muovere un dito.»
Johanson si stropicciò gli occhi, poi guardò l'orologio. Le dieci passate. La sua lezione. «Tina, devo lasciarti. Ti chiamo più tardi.»
«Posso dire a Skaugen che ci stai?»
«No.»
Silenzio.
«Okay», disse infine lei con voce fioca. Sembrava che la stessero portando al macello.
Johanson respirò profondamente. «Posso almeno pensarci?»
«Sì. Naturalmente. Sei un tesoro.»
«Lo so. Il mio problema è proprio questo. Ti richiamo.» Prese i suoi appunti e si affrettò verso l'aula.
Roanne, Francia
Mentre, a Trondheim, Johanson stava iniziando la sua lezione, a duemila chilometri di distanza, Jean Jérôme esaminava con occhio critico dodici astici bretoni.
Jérôme osservava sempre criticamente, lo faceva per principio. Il suo costante scetticismo era dovuto al luogo in cui lavorava: il Troisgros era l'unico ristorante in Francia a poter vantare trent'anni ininterrotti di tre stelle sulla
La giornata degli intermediari commerciali cominciava molto prima della sua e cioè alle tre del mattino, a Rungis, un paese a quattordici chilometri dal centro di Parigi. Fino a pochi anni prima, Rungis era privo d'importanza, ma poi, quasi da un giorno all'altro, era diventato la mecca della cucina più raffinata. In un territorio di quattro chilometri quadrati, Rungis riforniva di alimenti le grandi città, i commercianti, i cuochi e tutti coloro che erano sufficientemente pazzi da trascorrere la loro vita in una cucina. A Rungis era rappresentata l'intera nazione. Latte, panna, burro e formaggi dalla Normandia, squisiti ortaggi bretoni, succosi frutti dal sud. Fornitori di ostriche Belon e Marenne e del Bassin d'Arcachon e pescatori di tonni da St-Jean-de-Luz arrivavano velocissimi, percorrendo le autostrade su camion scoppiettanti coi loro carichi. Camion frigoriferi coi crostacei si aprivano la strada tra furgoncini e auto private. Quello era il primo luogo di tutta la Francia in cui arrivavano le prelibatezze.
La qualità era un fattore decisivo. Gli astici arrivavano ovviamente dalla Bretagna, ma bisognava fare attenzione, perché c'erano esemplari splendidi e altri meno attraenti. In breve, dovevano necessariamente avere alcune caratteristiche ben precise perché, al momento della consegna a Roanne, un cliente come Jean Jérôme, per esempio, fosse soddisfatto.
Jérôme prendeva gli astici l'uno dopo l'altro, li girava e li rigirava, scrutandoli. Gli animali erano disposti in gruppi di sei in casse di polistirolo, rivestite con una specie di felce. Si muovevano appena, ma naturalmente erano vivi, come doveva essere. Le loro chele erano legate.
«Bene», disse Jérôme.
Era la miglior lode che potesse tributare. In effetti era molto soddisfatto di quegli astici. È vero che erano piccoli, ma per le loro dimensioni erano molto pesanti e avevano una splendente corazza blu scuro.
Tranne gli ultimi due. «Troppo leggeri», disse.
Il commerciante aggrottò la fronte, prese uno degli astici che aveva ricevuto l'approvazione di Jérôme e uno degli altri e li soppesò, uno per mano. «Ha ragione, Monsieur Jérôme», ammise, sbigottito. «Mi devo scusare.» Stava lì, come una statua della Giustizia del mercato del pesce, gli avambracci piegati ad angolo e le mani distese. «Ma non c'è molta differenza. Una piccolezza, vero?»
«Sì, forse non è molto per una birreria che serve pesce», borbottò Jérôme. «Ma noi non siamo una birreria che serve pesce.»