«È per la cantina interrata dove si conservano tuberi e radici, per le mele e l’uva della cella frigorifera e cose così. Il biossido di carbonio serve a conservarle più a lungo. In parte viene usato anche nella serra. Utilizzato per le coltivazioni nelle proporzioni di uno per mille, aumenta il rendimento del raccolto in maniera considerevole. In realtà non ne so molto al riguardo. Rich era più informato di me, e comunque c’è un orticoltore che si occupa della serra.»
L’espressione di Charlie era ferale. «Un uomo muore per anossia, voi avete dei serbatoi di biossido di carbonio accessibili a chiunque e a nessuno viene in mente di dirlo! Perché?»
«La polizia ha cercato di trovare una connessione, ma non c’è riuscita» si giustificò Alexander con una voce quasi stridula per il nervosismo. «Nessuno ha saputo spiegare come avrebbe potuto arrivare all’ascensore o in qualunque altra zona della casa. È impossibile.»
«Lo spero bene. Dove vanno a finire questi tubi?»
Alexander li condusse in una stretta intercapedine che correva tra il retro della casa e il muro di cemento della piscina. Il muro era un labirinto di tubi e condutture. Il sottile tubo del biossido di carbonio era di acciaio inossidabile e si immetteva in una condotta vicino al soffitto. A metà dell’intercapedine s’imbatterono in una rampa ripida di scale, ma le tubazioni proseguivano dritte oltre i gradini. La conduttura più grande si fermava in corrispondenza della tromba dell’ascensore, mentre altre tubature arrivavano fino alla fine dell’intercapedine.
«E laggiù?» domandò Charlie indicando proprio la fine dell’intercapedine. «Cosa c’è là dietro?»
«La cella frigorifera. Non vi si può accedere da qui, ma solo dalla dispensa accanto alla cucina.»
Charlie esaminò nuovamente la tubatura e non riuscì a individuare un modo in cui il gas sarebbe potuto arrivare da lì all’ascensore. Il tubo era un pezzo unico, senza valvole, senza saldature. Si voltò, e questa volta fu lui a far strada su per la scala stretta e ripida che li condusse sul retro della casa, vicino a un ingresso che si affacciava sulla parte posteriore del giardino. Di fronte alla scala c’era la porta che dava accesso alla Jacuzzi. La vasca idromassaggio era lunga tre metri e larga un metro e mezzo. Era coperta da un telo di plastica rigido con un rullo da una parte e dei binari lungo i bordi su cui scorreva la copertura.
«La apra» ordinò Charlie, e guardò il ragazzo avvicinarsi con un’aria scontenta al pannello di controllo sul muro. Alexander premette un tasto e la copertura si aprì, si arrotolò e scomparve.
«La chiuda di nuovo» borbottò Charlie osservando con attenzione la copertura scorrere sulla vasca. Sebbene si muovesse velocemente non era abbastanza veloce da impedire a qualcuno di uscire dall’idromassaggio, se avesse avuto l’intenzione di farlo. Una volta srotolato sarebbe stato impossibile rimuovere il telone per chiunque ci fosse rimasto intrappolato sotto. Tra il telone e la superficie dell’acqua c’erano meno di due centimetri. Osservò attentamente i binari, esaminò la copertura e alla fine disse scuotendo la testa: «Proseguiamo.»
«Per la cella frigorifera?» domandò Alexander. Il ragazzo aveva cominciato a rosicchiarsi l’unghia del secondo pollice. Le altre unghie erano ridotte alla carne viva.
«Naturalmente.» Charlie prese la mano di Constance e la premette leggermente sperando di rassicurarla. Da quando la visita guidata era cominciata Constance non aveva detto una parola. Charlie sapeva che lui e sua moglie avevano visto le stesse cose e più tardi ne avrebbero parlato, si sarebbero scambiati le impressioni. La mano di Constance era gelida.
Passarono davanti a uno spogliatoio e a un bagno e si ritrovarono nuovamente nel corridoio accanto all’ascensore. Un altro corridoio conduceva invece a una porta che dava sull’esterno. Alexander lo imboccò. Arrivati quasi in fondo videro due porte una di fronte all’altra, la prima conduceva in cucina, la seconda nella dispensa. Alexander aprì quest’ultima. Appena entrati si ritrovarono davanti un’altra porta estremamente massiccia e a tenuta stagna. Aperta la seconda porta, furono investiti da una corrente d’aria fredda che proveniva dal basso.
«È un vero frigo» spiegò Alexander cominciando a scendere i gradini. «Gary la chiamava cantina interrata, ma in realtà si tratta di un frigo.»
Sembrava di entrare in una caverna di ghiaccio. La stanza era così ben isolata che non penetrava alcun suono, le pareti erano di acciaio inossidabile, il pavimento di plastica. Da una parte erano stati allineati dei bidoni, dall’altra degli scaffali. Due neon a soffitto emanavano una luce bluastra. Constance rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. In fondo alla stanza c’erano due carrelli d’acciaio e un’altra porta alta però solo un metro e mezzo circa. Charlie individuò il tubo d’acciaio che scendeva dal soffitto e scompariva dietro ai bidoni.
«Mi dia una spiegazione» disse bruscamente indicando con un ampio gesto i bidoni, la porticina e la stanza in generale.