Читаем La missione di Sennar полностью

Sennar trascorreva le notti chino sulla mappa, a cercare di capire quanta strada avessero percorso e quanta ne mancasse. Più di una volta usò la magia nella speranza di scoprire se la rotta era corretta, ma il raggio di luce che avrebbe dovuto localizzare le isole si perdeva nella notte verso luoghi sconosciuti.

Quando qualcuno iniziò ad accusarlo di averli coinvolti in un’impresa disperata, fu Benares a prendere le sue difese: «Siete uomini o cosa? Siamo gente di mare, maledizione. Qualcuno vi ha forse costretti a venire fin qui? Chi vuole tornare indietro, prenda una barca e si metta a remare. E con questo, il discorso è chiuso». Presto gli uccelli scomparvero. Niente più gabbiani, niente albatros, niente stormi che migravano verso terre remote. Anche i pesci iniziarono a scarseggiare. Ogni giorno la pesca era meno ricca, finché il mare non divenne un deserto. La nave scivolava lenta sull’acqua, circondata da un silenzio innaturale. Se non fosse stato per il leggero sciabordio sui fianchi della chiglia, si sarebbe detto che erano ancora in porto.


«Terra! Terra!»

L’urlo squarciò l’alba. Il mare era calmo, il vento aveva ripreso a soffiare e la nave correva veloce.

Sennar si precipitò sul ponte. Un attimo dopo arrivò anche il capitano, cannocchiale alla mano. All’orizzonte si intravedeva una linea scura e indefinita.

«Può essere vero?» chiese Sennar trafelato.

Rool guardò a lungo prima di pronunciarsi. «Non lo so» rispose. Tornò a scrutare nel cannocchiale. «C’è qualcosa che non mi convince.»

Per tutto il giorno la ciurma fissò ansiosa quella sottile striscia nera, mentre la tensione saliva.

A metà pomeriggio, la nave ebbe un forte contraccolpo laterale, come se qualcosa l’avesse urtata, e si piegò pericolosamente su un lato. L’equipaggio perse l’equilibrio, ma l’imbarcazione non tardò a raddrizzarsi, sballottata da un’improvvisa raffica di vento.

Sennar e il capitano raggiunsero il ponte a fatica. Tutto d’un tratto si era alzato un vento fortissimo, che sembrava volerli spazzare via. Eppure il mare era calmo e il sole splendeva. Quel vento proveniva dal nulla.

«Una mano di terzaroli, presto!» gridò Rool, mentre raggiungeva la murata.

Sennar riuscì ad aggrapparsi al parapetto, nonostante le folate che gli frustavano il viso. Alzò gli occhi. Ammutolì.

Un’enorme nube nera avanzava minacciosa dall’orizzonte. Non se ne vedeva la fine, correva verso la nave e cambiava continuamente forma. Sennar cadde al suolo senza fiato. Due mani lo afferrarono per la tunica.

«Che cos’è?» chiese Rool. Gli puntò addosso due occhi di fuoco.

«Non lo so.»

«È magia? Rispondi!»

«È... è probabile» balbettò Sennar.

Rool lasciò la presa e iniziò a impartire ordini, ma l’equipaggio era ancora impietrito per lo spavento.

«È rimasto qualche uomo a bordo o siete tutte femminucce?» ruggì il capitano. «Che ognuno vada subito al proprio posto o lo butto a mare all’istante!»

Nessuno aveva mai visto niente del genere. Sennar si sporse di nuovo ed ebbe solo il tempo di scorgere la nube che avanzava a una velocità spaventosa. Il vento gli mozzò il respiro. Chiuse gli occhi. Quando li riaprì, era calata la notte.

Su un cielo nero come una lastra d’ardesia si disegnavano lampi immensi. Una pioggia scrosciante iniziò a tempestare il ponte. Poi fu l’apocalisse.

Onde gigantesche si abbatterono sulla nave e la fecero inclinare ora su un lato ora sull’altro; ogni volta sembrava che fosse sul punto di sparire tra i flutti. Sennar fu scaraventato attraverso il ponte, finché la mano di Benares non lo agguantò per la collottola.

«Qui sei solo d’impiccio, ragazzino. Vattene nella stiva.»

Sennar non se lo fece ripetere due volte.

Più che andare nella stiva, ci cadde rovinosamente dentro, per poi correre a rannicchiarsi in un angolo. Il legno intorno a lui cigolava paurosamente e il rollio era violentissimo. La nave era in balia di venti che cambiavano di continuo direzione e di onde alte come mura.

Per un po’ Sennar se ne stette immobile, paralizzato dalla paura, ad ascoltare i passi concitati sul ponte, i tonfi dei corpi sbattuti a terra dalla tempesta e lo squittio dei topi, rintanati chissà dove. Poi iniziò a sentirsi un codardo. Non posso restare qui, devo andare a dare una mano. Le sue gambe però si rifiutavano di obbedire. Si costrinse a ragionare. In fin dei conti era un consigliere, negli ultimi tempi si era trovato in parecchie situazioni disperate e ne era uscito solo grazie alla sua lucidità. Provò a ripassare le magie che conosceva, ma nessuna corrispondeva all’apocalisse che si stava scatenando lì fuori. Era opera di un mago, nessun dubbio. Forse una formula creata ex novo, più probabilmente un sigillo. Perfetto. Se è una magia non c’è che da cercare di contrastarla , si disse con decisione.

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