Nihal lo aveva messo alle strette. Gli aveva ricordato che era stato proprio lui a insegnarle che bisogna combattere per un ideale, che ciascuno deve trovare la propria via per realizzarsi. Gli aveva chiesto come poteva sbattere la porta in faccia a un ragazzo che voleva provarci.
Ido squadrò Laio. Guance rosate, occhi grigi, andatura titubante: che diavolo se ne faceva di uno così?
«Che cosa sai fare?» chiese secco.
«Ho studiato due anni all’Accademia» sussurrò Laio.
«Parla più forte, ragazzino» lo aggredì lo gnomo. Nihal scoccò a Ido un’occhiata di fuoco.
Laio impallidì. «Sì, signore. Scusi, signore. Ho studiato due anni all’Accademia. Sono anche bravo con le erbe. E so tenere in ordine ogni tipo di arma.»
«E con i draghi come te la cavi?»
«Con i draghi, ecco... non ci ho ancora avuto a che fare, signore» rispose Laio a mezza voce.
Ido si strofinò il viso con le mani e sospirò. Poi si alzò e uscì dalla capanna senza dire una parola.
Nihal sorrise con aria furba.
«Uno scudiero?»
Nelgar fu stupito dalla richiesta di Ido. Fino all’arrivo di Nihal, lo gnomo era stato un tipo schivo. Ora tutto d’un tratto sembrava che andasse in cerca di compagnia.
Lo gnomo bofonchiò che presto Nihal sarebbe diventata Cavaliere e che lui non avrebbe più avuto nessuno che gli lucidasse l’armatura.
«Non puoi pensarci da solo, come hai sempre fatto?» chiese Nelgar.
«Oh, insomma. Me lo dai o no questo scudiero?» tagliò corto Ido. «Da regolamento, tutti i Cavalieri ne hanno diritto. Non vedo perché non dovrei averne uno anch’io.»
Nelgar non fece più storie. Il regolamento era il regolamento.
Laio si immerse nel suo nuovo incarico anima e corpo; si occupava delle armi di Ido con una cura maniacale. Una mattina, lo gnomo lo aveva trovato dietro la capanna, seduto a terra a gambe incrociate, con tutto l’arsenale sparso intorno. Lucidava con furia un’ascia che Ido non si era mai sognato di prendere in mano.
«Fai quel che ti pare, ma non ti azzardare a toccare la spada» gli aveva detto. «Di quella mi occupo personalmente.»
Laio aveva alzato la testa dal lavoro per un istante. «Sì, signore. Certo, signore.» Poi si era rimesso all’opera.
Ido dovette ammettere che il ragazzo era solerte. La sua armatura non era mai stata così bella e lucente. Ora si trattava di vedere che cosa ne pensava Vesa.
Affrontò l’argomento con Laio senza preamboli. «Stasera darai da mangiare al mio drago.»
Le guance del ragazzo passarono dal rosa al bianco. «Sta... stasera?»
«Sì, perché? Avevi altri impegni?»
«No, signore. È che... non ho mai dato da mangiare a un drago.»
«C’è sempre una prima volta. Ti spiegherà tutto Nihal.»
Nihal impiegò l’intera serata per riuscire a convincere l’amico a entrare nella scuderia, l’imponente edificio che troneggiava al centro della cittadella. Una volta dentro, la ragazza si mosse sicura verso il fondo, dove si trovava la nicchia di Vesa, Laio invece rimase paralizzato al solo sentire il respiro dei draghi.
La sera successiva andò meglio. Laio si aggrappò a un braccio dell’amica e, con gli occhi fissi a terra, percorse il lungo corridoio su cui si affacciavano le grotte degli animali.
«Eccoci.» Nihal si fermò.
In un’enorme cavità scavata nella roccia c’era un animale che a Laio parve immenso. Da sola, la sua testa era grande quasi quanto lui. Era rosso come un tizzone ardente e se ne stava acciambellato, le grandi ali membranose ripiegate sui fianchi. La testa crestata era appoggiata quasi con grazia sulle due zampe anteriori, più piccole di quelle posteriori.
«Vesa, questo è Laio, vedi di trattarlo bene.»
Per tutta risposta, il drago emise un grugnito perplesso.
«E questo, caro il mio scudiero, è Vesa» continuò Nihal, mentre cercava di staccarsi l’amico di dosso. «Dovresti almeno aprire gli occhi, Laio.»
Il ragazzo socchiuse le palpebre, giusto il tempo di intravedere un grande drago rosso che lo guardava con evidente disprezzo.
Da allora Nihal portò Laio nella scuderia ogni sera. L’aspirante scudiero cercava di farsi coraggio e seguiva i consigli di Nihal come meglio poteva.
Dopo una settimana, allungò una mano per toccare la pelle squamosa di Vesa. Dopo due, riuscì finalmente a portargli la carriola colma di carne fin sotto il muso.
Da quel momento in poi, fu tutto più facile. Superata la paura, Laio sembrava nato per trattare con i draghi. Vesa lo prese in simpatia e il ragazzo si innamorò di quella bestia enorme.
Oarf era più scorbutico di Vesa, ma Laio riuscì a farsi accettare anche da lui. Quanto a dimensioni era assai simile a Vesa, ma era più anziano, un veterano della guerra. Era del tutto verde, sebbene il suo colore assumesse miriadi di sfumature diverse sulle varie parti del corpo, tranne per le braci rosse delle sue pupille penetranti.
Se non lo avesse visto con i suoi occhi, Nihal non ci avrebbe creduto. Oarf, il suo Oarf, il drago che l’aveva fatta tanto penare, si lasciava accarezzare da Laio come un gattino.