Harper annuì. «Da qui la bugia in occasione della conferenza stampa. Ci sono stato costretto. La Tench e il direttore mi hanno ricordato brutalmente che avevo danneggiato tutti, il presidente che aveva finanziato il mio progetto PODS e la NASA che ci aveva dedicato anni. Io avevo mandato tutto all'aria con un errore di programmazione.»
«Così ha acconsentito a collaborare.»
«Non avevo scelta. La mia carriera sarebbe finita, altrimenti. E la verità è che se io non avessi incasinato il software, il PODS avrebbe davvero trovato il meteorite da solo. Quindi mi parve una bugia irrilevante, al momento. Cercai di razionalizzare dicendo a me stesso che il software sarebbe stato riparato nel giro di qualche mese, alla successiva missione dello shuttle, e che quindi io, in realtà, non facevo che anticipare di poco la riparazione.»
Gabrielle emise un fischio. «Una piccola bugia per approfittare dell'occasione del meteorite.»
Harper stava male solo a parlarne. «Così… l'ho fatto. Seguendo gli ordini del direttore, ho organizzato una conferenza stampa per annunciare di aver trovato il modo di aggirare il problema del software. Aspettai alcuni giorni, poi riposizionai il PODS sulle coordinate del meteorite indicate dal direttore. Quindi, rispettando la scala gerarchica, chiamai il direttore dell'EOS per riferirgli che il PODS aveva localizzato una zona di grande densità nella banchisa di Milne. Nel comunicargli le coordinate, precisai che la densità faceva pensare a un meteorite. La NASA, entusiasta, inviò a Milne una piccola squadra per praticare alcuni carotaggi. Da quel momento, l'operazione procedette nella massima riservatezza.»
«Quindi lei ignorava, fino a questa sera, che il meteorite contenesse fossili?»
«Certo, come chiunque, qui. Siamo sotto choc. A questo punto, tutti mi danno dell'eroe perché ho trovato le prove di bioforme extraterrestri, e io non so cosa rispondere.»
Gabrielle, in silenzio, studiò a lungo Harper con sguardo penetrante. «Ma se non è stato il PODS a scoprire il meteorite nel ghiaccio, come faceva il direttore a sapere che si trovava lì?»
«Qualcun altro l'aveva trovato per primo.»
«Qualcun altro? Chi?»
Harper fece un profondo respiro. «Un geologo canadese, un certo Charles Brophy, che conduceva ricerche sull'isola di Ellesmere. Pare che stesse scandagliando il ghiaccio sulla banchisa di Milne quando scoprì per caso la presenza di quello che appariva un enorme meteorite. Trasmise per radio la notizia, casualmente intercettata dalla NASA.»
Gabrielle rimase a bocca aperta. «Ma questo canadese non è furibondo con la NASA, che si è presa tutto il merito della scoperta?»
«No» rispose Harper, percorso da un brivido. «Molto opportunamente, ha pensato bene di morire.»
91
Michael Tolland chiuse gli occhi e ascoltò il monotono ronzio del motore del jet. Aveva deciso di non pensare più al meteorite fino al ritorno a Washington. I condri, secondo Corky, erano la prova conclusiva che la roccia rinvenuta nella banchisa di Milne non poteva essere altro che un meteorite. Rachel aveva sperato di trovare prima dell'atterraggio una risposta definitiva da dare a William Pickering, ma le sue teorie erano arrivate a un punto morto davanti ai condri. Per quanto i dati destassero sospetti, il meteorite pareva autentico.
"E così sia."
Era rimasta molto scossa dall'avventura traumatica in mare, ma la sua capacità di recupero aveva sbalordito Tolland. A quel punto era concentrata sulle questioni più urgenti: trovare il modo di ridimensionare o autenticare il meteorite, e cercare di capire chi aveva tentato di ucciderli.
Per la maggior parte del viaggio, Rachel era rimasta seduta accanto a Tolland e a lui aveva fatto piacere parlarle, malgrado la difficoltà della situazione. Parecchi minuti prima, Rachel era andata in bagno, e Tolland si era sorpreso del fatto che non vedeva l'ora che tornasse. Si era chiesto quanto tempo era passato da quando aveva sentito la mancanza di una donna, una donna che non fosse Celia.
«Signor Tolland?»
Lui alzò lo sguardo.
Il pilota faceva capolino dalla porta. «Mi aveva chiesto di avvertirla quando fossimo arrivati a portata di telefono dalla sua nave. Ora posso collegarla, se vuole.»
«Grazie.» Tolland si fece strada lungo il corridoio.
Dalla cabina dei piloti telefonò al suo equipaggio. Voleva comunicare che sarebbe tornato nel giro di un paio di giorni, ma senza raccontare le sue traversie.
Il telefono squillò parecchie volte e lo sorprese sentire che a rispondere era il sistema automatico di comunicazione della nave, il SHINCOM 2100. Il messaggio in uscita non aveva il solito tono professionale, ma piuttosto quello chiassoso di un membro dell'equipaggio, il burlone di bordo.