Il sole si sarebbe levato entro venti minuti. Mancavano ancora due ore alla colazione con l'ambasciatore Rajasinghe. Il tempo era sufficiente, e poteva darsi che non gli si presentassero altre possibilità.
Morgan non era tipo da perdere tempo. In meno di un minuto infilò calzoni e maglione, ma ci volle parecchio di più per il minuzioso controllo delle calzature. Anche se da anni non compiva più scalate impegnative, portava sempre con sé un paio di scarponi robusti e leggeri. Con la sua professione, li aveva spesso trovati indispensabili. Aveva già chiuso la porta della stanza quando fu colpito da un pensiero improvviso. Per un attimo rimase, esitante, in corridoio; poi sorrise e scrollò le spalle. Male non poteva farne, e non si sapeva mai…
Tornato nella stanza, Morgan aprì la valigia e tirò fuori una scatoletta piatta, della forma e delle dimensioni di un calcolatore tascabile. Controllò che le batterie fossero cariche, provò il meccanismo di comando manuale, poi l'allacciò alla fibbia in acciaio della sua robusta cintura sintetica. Adesso era davvero pronto a entrare nel regno maledetto di Kalidas e ad affrontare i demoni che vi abitavano.
Il sole si alzò, scaldandogli dolcemente la schiena. Morgan superò l'apertura del bastione massiccio che formava la difesa più esterna della fortezza. Davanti a lui, solcate da uno stretto ponte di pietra, si stendevano le acque immobili del grande fossato che correva, perfettamente rettilineo, per mezzo chilometro su ogni lato. Un gruppetto di cigni si avvicinò speranzoso nuotando tra le ninfee, e si disperse arruffando le penne quando fu chiaro che lui non aveva cibo da offrire. Dall'altro lato del ponte arrivò a un secondo muro, più basso, e salì la stretta scalinata che lo attraversava. Si trovò dinanzi ai Giardini del Piacere, sopra i quali si stendeva la parete liscia della Montagna.
Le fontane disposte lungo l'asse dei giardini lasciavano ricadere e salire l'acqua all'unisono, in un ritmo languido, come se stessero respirando tutte assieme. In giro non c'erano altri esseri umani; Yakkagala era tutta sua. La città-fortezza non doveva essere stata più deserta nemmeno nei millesettecento anni in cui la foresta l'aveva invasa, fra la morte di Kalidas e la sua riscoperta a opera degli archeologi del diciannovesimo secolo.
Morgan oltrepassò la linea di fontane, e qualche spruzzo gli arrivò addosso. Si fermò ad ammirare il condotto di pietra riccamente scolpito, senza dubbio d'epoca, in cui defluiva l'acqua in eccesso. Si chiese come avessero fatto gli esperti d'idraulica di un tempo così lontano a sollevare l'acqua che alimentava le fontane, e quali differenze di pressione fossero in grado di creare. Quei getti potenti, verticali, dovevano essere parsi terribilmente stupefacenti ai primi spettatori.
E ora aveva davanti una scalinata di granito, dagli scalini così stretti che i suoi scarponi vi entravano a stento. Morgan si chiese se gli uomini che avevano costruito quel posto straordinario avessero piedi così piccoli. Oppure si trattava di un'astuzia dell'architetto per scoraggiare i visitatori animati da cattive intenzioni? Certo non sarebbe stato molto facile, per dei soldati, caricare su quella salita inclinata a sessanta gradi, su scalini che parevano costruiti a misura di nano.
Una piccola piattaforma, poi un'altra scalinata identica alla precedente, e Morgan si trovò in una galleria lunga, in leggera salita, scavata nella parte più bassa della Montagna. Adesso era a più di cinquanta metri al di sopra della pianura sottostante, ma la visuale era completamente bloccata da un muro ricoperto di gesso giallo e liscio. La Montagna sopra di lui sporgeva talmente in fuori che gli sembrava quasi di camminare in un tunnel. Era visibile solo una minuscola fetta di cielo.
Il gesso sulla parete sembrava nuovissimo e intatto. Era quasi impossibile credere che i muratori avessero abbandonato il lavoro duemila anni prima. Qui e là, però, la superficie tersa e liscia come uno specchio era sfregiata da messaggi incisi da visitatori che avevano cercato, come al solito, di ottenere l'immortalità. Pochissime iscrizioni appartenevano ad alfabeti che Morgan era in grado di riconoscere, e la data più recente che vide era il 1931; in seguito, presumibilmente, il Dipartimento di Archeologia era intervenuto a prevenire simili vandalismi. La maggior parte dei graffiti erano in taprobani, tracciati a lettere rotonde e fiorite. Morgan ricordava, dallo spettacolo della sera prima, che molte iscrizioni erano poemi, risalenti al secondo e terzo secolo. Dopo la morte di Kalidas, per un breve periodo Yakkagala era diventata un'attrazione turistica, grazie alla leggenda ancora viva del re maledetto.