Читаем Le fontane del Paradiso полностью

Secondo l'opinione di molti, quell'ultimo messaggio, celeberrimo fra le migliaia inviate, provava che Stellaplano possedeva "sense of humour". Altrimenti, perché avrebbe aspettato proprio la fine per far esplodere una simile granata filosofica? Oppure l'intera conversazione faceva parte di un piano millimetrico, destinato a indirizzare la razza umana sui giusti binari quando fossero giunti i primi messaggi diretti da Stellisola, presumibilmente entro 104 anni?

Qualcuno suggerì di seguire Stellaplano, dal momento che portava fuori dal sistema solare non solo inimmaginabili riserve di conoscenza, ma anche i tesori di una tecnologia più avanzata da secoli rispetto a ogni risorsa umana. Per quanto non esistessero ancora astronavi capaci di superare Stellaplano, e di ritornare alla Terra dopo averne raggiunto l'enorme velocità, senza dubbio era possibile costruirne una.

Però prevalsero più saggi consigli. Anche una robosonda spaziale doveva possedere mezzi di difesa molto efficaci contro eventuali intrusi; compresa, come ultima risorsa, la possibilità di autodistruggersi. Ma l'argomento decisivo fu che i suoi costruttori si trovavano "solo" a cinquantadue anni luce di distanza. Nei millenni trascorsi da che avevano lasciato Stellaplano, la loro tecnologia spaziale doveva essere cresciuta enormemente. Se la razza umana faceva qualcosa per provocarli, quelli potevano arrivare, leggermente risentiti, nel giro di poche centinaia d'anni. Nel frattempo, fra gli innumerevoli altri effetti esercitati sulla cultura umana, Stellaplano aveva portato a compimento un processo già molto sviluppato. Aveva messo fine ai miliardi di parole di pie sciocchezze con cui, per secoli, uomini apparentemente intelligenti si erano imputriditi il cervello.

<p>17</p><p>Parakarma</p>

Ripensando in breve alla conversazione, Morgan decise di non aver fatto la figura dello sciocco. Anzi, il Mahanayake Thero aveva forse perso un vantaggio tattico svelando l'identità del Venerabile Parakarma. Però non si trattava di un segreto; forse pensava che Morgan ne fosse già al corrente.

A quel punto ci fu un'interruzione davvero provvidenziale. Due giovani monaci entrarono in ufficio: uno reggeva un vassoio con piccoli piatti di riso, frutta, e quelle che sembravano ciambelline; l'altro lo seguiva con l'inevitabile teiera. Niente di particolarmente sostanzioso. Dopo quella lunga notte, Morgan avrebbe gradito due uova, ma immaginò che anche quelle fossero proibite. No, l'aggettivo era eccessivo: Sarath gli aveva detto che l'Ordine non proibiva niente, dato che non credeva in niente d'assoluto. Però aveva una scala di tolleranza calibrata al millimetro, e il distruggere una vita, anche una vita potenziale, non era un atto che godesse di troppo favore.

Morgan cominciò a studiare i diversi cibi, molti dei quali gli erano sconosciuti, e lanciò un'occhiata interrogativa al Mahanayake Thero, che scosse la testa.

— Noi non mangiamo prima di mezzogiorno. La mente funziona con chiarezza maggiore nelle ore del mattino, per cui non bisogna distrarla con cose materiali.

Addentando una deliziosa papaia, Morgan rifletté sull'abisso filosofico rappresentato da quella semplice frase. Per lui, uno stomaco vuoto poteva essere una distrazione enorme, capace d'inibire completamente le funzioni mentali superiori. Visto che possedeva da sempre il dono della salute, non aveva mai cercato di dissociare il corpo dalla mente, e non vedeva motivo perché qualcuno dovesse provarci.

Mentre Morgan mangiava quella colazione esotica il Mahanayake Thero si scusò, e per qualche minuto le sue dita danzarono, a velocità stupefacente, sui comandi del terminale. Quando apparve la lettura, la cortesia lo spinse a voltare gli occhi da un'altra parte. Inevitabilmente, il suo sguardo cadde sulla testa del Buddha. Probabilmente era vera, perché lo zoccolo proiettava sul muro un'ombra debole. Ma nemmeno quella era una prova decisiva. Lo zoccolo poteva essere ben solido, e la testa una proiezione centrata al di sopra con cura estrema. Era un trucco piuttosto comune.

Quella testa, come Monna Lisa, era un'opera d'arte che rifletteva le emozioni di chi l'osservava e al tempo stesso emanava una sua intensità. Però gli occhi della Gioconda erano aperti, anche se nessuno avrebbe mai saputo cosa stessero vedendo. Gli occhi del Buddha erano completamente vuoti, pozzi immensi in cui un uomo poteva perdere l'anima, oppure scoprire un universo.

Sulle sue labbra aleggiava un sorriso ancora più ambiguo di quello di Monna Lisa. Ma era poi davvero un sorriso, o solo un gioco di luci? Era già scomparso, sostituito da un'espressione di tranquillità superumana. Morgan non riusciva a distogliere gli occhi da quel volto ipnotico, e solo il ronzio familiare di una copia stampata che usciva dal terminale lo riportò alla realtà; se quella era realtà…

— Ho pensato che potrebbe farvi piacere un souvenir della vostra visita — disse il Mahanayake Thero.

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