— Molto rassicurante — disse il Mahanayake Thero. Morgan era certo che stesse facendo del sarcasmo, eppure non trovava tracce d'ironia nella sua voce. O stava dando mostra d'una calma olimpica, oppure metteva alla prova le reazioni dell'ospite. Il monaco più giovane, invece, non cercava nemmeno di nascondere la collera.
— Sono anni — disse indignato — che protestiamo contro i disturbi causati dalle navi spaziali che rientrano. Adesso voi volete creare onde d'urto nel… nostro giardino.
— Le nostre operazioni non saranno transoniche, a questa altezza — ribatté lui decisamente. — E la struttura della torre assorbirà quasi tutta l'energia sonica. In effetti — aggiunse, cercando di sfruttare quello che sembrava un vantaggio improvviso — con l'andare del tempo vi aiuteremo a eliminare le esplosioni di rientro. La montagna diventerà più tranquilla.
— Capisco. Al posto di esplosioni occasionali avremo un rombo continuo.
"Con questo tipo non riesco a concludere niente" pensò Morgan "e io mi ero aspettato che l'osso duro fosse il Mahanayake Thero…"
A volte è meglio cambiare del tutto argomento. Morgan decise d'affondare un piede nel pantano turbolento della teologia.
— Non credete che ci sia qualcosa di giusto — chiese candidamente — in quello che stiamo cercando di fare? I nostri scopi possono essere diversi, ma i risultati pratici hanno molto in comune. Quello che speriamo di costruire è solo un prolungamento della vostra scalinata. Se mi è permesso dirlo, la portiamo più in alto, fino in paradiso.
Per un attimo il Venerabile Parakarma parve stupefatto di tanta sfrontatezza. Prima che lui riuscisse a riprendersi, il suo superiore rispose soavemente: — Un concetto interessante, ma la nostra filosofia non crede nel paradiso. È possibile trovare la salvezza che può esistere solo in "questo" mondo, e a volte la vostra ansietà d'abbandonarlo mi lascia perplesso. Conoscete la storia della torre di Babele?
— Vagamente.
— Vi consiglio di cercarla nell'antica Bibbia cristiana, Genesi undicesimo capitolo. Anche quello era un progetto d'ingegneria per scalare i cieli. Andò a monte, a causa di difficoltà di comunicazione.
— Avremo i nostri problemi, ma non credo che "questo" sarà il più grave.
Però, fissando il Venerabile Parakarma, Morgan non ne era poi troppo certo. Fra loro esisteva un abisso d'incomunicabilità che sembrava, in un certo senso, più profondo di quello tra l'Homo Sapiens e Stellaplano. Parlavano la stessa lingua, ma si guardavano da abissi d'incomprensione che forse era impossibile superare.
— Posso chiedervi — continuò il Mahanayake con cortesia imperturbabile — qual è stato il vostro successo col Dipartimento Parchi e Foreste?
— Sono stati assai disponibili.
— Non ne sono sorpreso. Mancano perennemente di fondi, e ogni nuova fonte d'introiti è ben vista. La funivia ha dato ossigeno alle loro finanze, e senza dubbio sperano che il vostro progetto sia ancora più proficuo.
— Il che è esatto. E hanno accettato il fatto che non creerà nessun pericolo ambientale.
— Se cadesse tutto giù? Morgan fissò negli occhi il venerabile monaco.
— Non cadrà — disse, con tutta l'autorità di un uomo che aveva creato l'arcobaleno capovolto che ora univa due continenti.
Ma Morgan sapeva, e doveva saperlo anche l'implacabile Parakarma, che in un campo del genere la certezza assoluta era impossibile. Duecentodue anni prima, il 7 novembre del 1940, la lezione era stata dimostrata in un modo che nessun ingegnere avrebbe mai scordato.
Morgan soffriva di pochi incubi, ma quello rientrava fra i pochi. Anche in quello stesso momento i computer della Terran Construction stavano cercando d'esorcizzarlo.
Ma tutti i computer dell'universo non potevano offrirgli protezione dai problemi che "non" aveva previsto, dagli incubi che dovevano ancora nascere.
18
Le farfalle d'oro
Nonostante lo splendore del sole e il paesaggio magnifico che lo cingeva da ogni lato, Morgan cadde in un sonno profondo prima che l'auto raggiungesse la pianura. Nemmeno le innumerevoli curve a gomito riuscirono a tenerlo sveglio; ma riaprì d'improvviso gli occhi quando l'autista schiacciò i freni e lui si trovò proiettato in avanti.
In un attimo di confusione assoluta pensò di essere ancora prigioniero del sogno. La brezza che entrava dai finestrini era così calda e umida che pareva uscita da un bagno turco; eppure la macchina, a quanto sembrava, si era fermata nel mezzo di un'accecante tempesta di neve.
Morgan sobbalzò, si sfregò gli occhi, li riaprì sulla realtà. Era la prima volta che vedeva una neve dorata…