Читаем Le sabbie di Marte полностью

«Ho un’idea» disse. «A quanto pare hanno l’intenzione di farmi vedere tutto quello che voglio. Può darsi che riesca a organizzare qualche gita a Hellas o ad Esperia, dove non c’è ancora andato nessuno. Ti piacerebbe venire con me? Potremmo incontrare qualche Marziano.»

Naturalmente quella dei Marziani era la storiella che circolava tra gli abitanti della Terra sin dal tempo in cui erano tornate le prime astronavi con la deludente notizia che il pianeta gemello era completamente disabitato. Tuttavia parecchi erano ancora fermamente convinti, malgrado tutte le prove contrarie, che in qualche angolo dei monti ancora inesplorati del pianeta si annidasse qualche forma di vita intelligente.

«Già» disse Jimmy, «sarebbe davvero magnifico. Comunque nessuno potrà impedirmi di fare quello che voglio, perché quando sarò su Marte avrò a mia disposizione tutto il tempo che mi parrà e mi piacerà. C’è sul contratto.»

Seguirono alcuni minuti di silenzio. Poi Jimmy cominciò a staccarsi con estrema lentezza dal finestrino d’osservazione e a scivolare lungo le paratie in pendenza della nave. Gibson lo acchiappò al volo prima che si allontanasse troppo, e lo assicurò al sedile con due solide maniglie elastiche in modo che il ragazzo potesse dormire tranquillamente. Era troppo stanco per trascinarlo fino alla sua cuccetta.

Il giorno seguente Gibson fu risvegliato da un frastuono infernale. Pareva che l’Ares stesse cadendo a pezzi. Si affrettò a vestirsi e a uscire nel corridoio. La prima persona che vide fu Mackay, il quale gli urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre si allontanava di corsa: «Sono arrivati í razzi! Il primo riparte fra due ore! Dovresti spicciarti… Credo che ti manderanno su con quello!»

Perplesso, Gibson si grattò la fronte.

«Qualcuno avrebbe anche potuto avvertirmi» borbottò. Poi si ricordò che in realtà l’avevano avvertito, quindi doveva rimproverare soltanto se stesso se non era ancora pronto. Tornò di corsa in cabina e si mise a fare frettolosamente le valigie. Ogni tanto l’astronave era scossa da un forte tremito intenso che si trasmetteva al suo corpo. Gibson era curiosissimo di sapere cosa stesse succedendo.

Davanti al compartimento stagno incontrò Norden. Il capitano aveva l’aria stanca. Con lui c’era il dottor Scott, già equipaggiato per la partenza, il quale reggeva tra le mani, con precauzione estrema, una massiccia cassetta di metallo.

«Vi auguro di fare una traversata magnifica» disse Norden. «Ci rivedremo tra un paio di giorni, non appena avremo sbarcato tutto il carico, perciò sino a quel momento… Oh, quasi me ne dimenticavo! Mi hanno detto di farti firmare questa roba.»

«Che cos’è?» chiese Gibson in tono sospettoso. «Io non firmo mai niente che non sia stato preventivamente approvato dal mio editore.»

«Leggi e vedrai» disse Norden ridendo. «È un documento storico.»

E così dicendo gli tese una pergamena su cui c’era scritto:

"CON IL PRESENTE DOCUMENTO SI CERTIFICA CHE MARTIN M. GIBSON, SCRITTORE, È STATO IL PRIMO PASSEGGERO A VIAGGIARE SULLA NAVE SPAZIALE ARES, DURANTE IL VIAGGIO INAUGURALE DALLA TERRA A MARTE".

Seguivano la data e uno spazio vuoto per le firme di Gibson e degli altri componenti dell’equipaggio. Gibson firmò.

«Immagino che questo papiro andrà a finire un giorno o l’altro in qualche Museo d’Astronautica, quando si decideranno a costruirne uno» disse.

Per la seconda volta Gibson s’infilò una tuta spaziale. Gli pareva d’essere ormai un veterano di simili avventure.

«Naturalmente tu comprendi benissimo» gli spiegò Scott «che quando il servizio sarà organizzato in modo regolare raggiungeranno il traghetto attraverso un tunnel di collegamento. Altrimenti, con questo sistema nessuno si muoverebbe più di casa e per la società sarebbe il fallimento sicuro.»

«Perderanno però un’esperienza interessantissima» disse Gibson mentre eseguiva un rapido controllo dei manometri disposti sul piccolo quadro comandi della tuta.

Di fronte a loro si aprì il portello esterno, e gli uomini vennero lentamente proiettati fuori, sulla superficie di Deimos. L’Ares, trattenuta entro la sua culla di funi (che dovevano essere state preparate in tutta fretta durante la settimana precedente), sembrava assalita da una intera squadra di smantellatori. Finalmente Gibson capiva la ragione dei colpi assordanti e del frastuono che l’avevano svegliato. Quasi tutta la rivestitura metallica dell’Emisfero Meridionale era stata rimossa per permettere di entrare nella stiva, e i membri dell’equipaggio, in tuta, erano adesso impegnati a sbarcare il carico che veniva via via ammucchiato sulle rocce intorno alla nave.

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