Purtroppo si era dovuto pagare un duro prezzo. Due uomini dell’equipaggio erano morti in seguito a contaminazione da radiazioni dopo una riparazione d’emergenza a un motore. Erano stati sepolti su Dione, la quarta luna. Il capo della spedizione, capitano Envers, era stato ucciso su Titano da una valanga di aria gelata. Il suo cadavere non era più stato ritrovato. Allora Hilton aveva assunto il comando, e un anno dopo era riuscito a riportare su Marte, intatta, l’
Gibson conosceva già i fatti. Ricordava ancora i radiomessaggi che avevano attraversato lo spazio, ritrasmessi da un mondo all’altro. Ma adesso era completamente diverso ascoltare il racconto di quell’avventura dalla viva voce di Hilton che narrava col suo tono calmo, quasi impersonale, come se, anziché protagonista, fosse stato semplice spettatore.
Parlò di Titano e dei suoi fratelli minori, le piccole lune che circondano Saturno facendo di questo pianeta quasi un modello su piccola scala del Sistema Solare. Raccontò come erano finalmente atterrati sulla luna più interna, Mimas, che dista da Saturno solo metà di quanto la Luna disti dalla Terra.
«Scendemmo in una valle ampia, chiusa tra due montagne, dove eravamo convinti che il terreno fosse più che solido. Non volevamo ripetere l’errore commesso su Rea. Fu un atterraggio perfetto, e per uscire all’esterno ci infilammo nelle apposite tute. È strano come si è sempre impazienti di sbarcare, per quante volte si possa aver messo piede su un mondo nuovo.
«Mimas ha una bassa gravità, solo un centesimo di quella terrestre, ma sufficiente per evitarci di finire nello spazio. Quella di avanzare a balzi era un’esperienza che mi divertiva. Per quanto lungo e alto che fosse il balzo, si poteva stare sicuri che presto o tardi si finiva col ridiscendere, purché si avesse la pazienza di aspettare.
«Quando sbarcammo era mattino presto. Mimas ha le giornate un poco più brevi di quelle terrestri: compie il giro di Saturno in ventidue ore e mezzo. Come la Luna, Mimas ha il periodo di rivoluzione lungo quanto quello di rotazione, quindi offre al suo pianeta sempre la stessa faccia, o meglio, dal pianeta è possibile vederne sempre soltanto una faccia. Eravamo discesi nell’emisfero settentrionale, non lontano dall’equatore, e Saturno si trovava già molto sopra l’orizzonte. Aveva un aspetto veramente bizzarro, inquietante, una specie di montagna dalla curvatura assurda e alta migliaia di chilometri.
«Avrete certo visto i film che abbiamo girato, specialmente quello a colori che mostra, accelerato, un ciclo completo delle fasi di Saturno. Ma non credo che i film possano rendere perfettamente quello che significa vivere con quella sfera enorme sempre sospesa lassù nel cielo. È talmente grande che non si riesce a vederla tutta in una volta. Se ci si metteva di fronte e si allargavano le braccia si aveva l’impressione di poter toccare con la punta delle dita le estremità opposte degli anelli. Gli anelli veri e propri non si possono distinguere molto bene perché sono sottilissimi, data la loro posizione quasi verticale, ma è possibile individuarne la posizione dalla grande fascia d’ombra che gettano costantemente sul pianeta.
«Noi non ci stancavamo mai di guardare. Saturno ruota con tanta velocità, che il panorama muta continuamente. Le formazioni di nubi, ammesso che si trattasse effettivamente di nubi, sfrecciavano da un lato all’altro del disco in poche ore, trasformandosi di continuo nel loro fuggire. Ed avevano i colori più meravigliosi e incredibili. Ce n’erano di verdi, di viola, di gialle soprattutto. Di tanto in tanto si verificavano lente, enormi eruzioni, e dalle profondità si levava un fungo grande quanto la Terra che andava pigramente allargandosi in una macchia immensa che ricopriva metà pianeta.
«Era impossibile non guardare. Persino di notte, quando era completamente invisibile, se ne indovinava la presenza dalla grande porzione di cielo vuoto di stelle. A questo proposito voglio raccontarvi una cosa curiosa della quale non ho mai parlato ufficialmente perché non ne sono mai stato del tutto sicuro. Un paio di volte, mentre ci trovavamo nell’ombra del pianeta e il suo disco avrebbe dovuto essere completamente spento, ebbi l’impressione di vedere provenire dal suo lato notturno una debole luce fostorescente di brevissima durata, ammesso che ci fosse stata. Forse si trattava di qualche misteriosa reazione chimica in atto nel roteante pentolone.
"Vi sorprende che desideri tornare su Saturno? Questa volta mi piacerebbe potergli andare vicino per davvero, e per vicino intendo non più di mille chilometri. Dovrebbe essere una impresa sicura e non si dovrebbe consumare troppa energia. Basta entrare in un’orbita parabolica e poi lasciarsi cadere all’interno come una cometa che giri intorno al Sole. Certo non sarebbe possibile stargli vicino più di qualche minuto, ma anche in pochi minuti si può osservare molto.