Alle elezioni seguenti, la clausola sulla retroattività venne estesa fino a coprire gli ultimi vent’anni, e c’è un forte movimento d’opinione che preme per conferire la laurea a tutti i cittadini indiscriminatamente.
Alle quindici circa Georges e io procedevamo lungo il lato sud di National Plaza, di fronte al palazzo del Capo, diretti alla sede centrale della MasterCard. Georges mi stava dicendo che non vedeva nulla di sbagliato nel fatto che avessi insistito per fermarci a un Burger King per uno spuntino; che anzi, a suo giudizio, l’hamburger gigante, preparato a dovere col miglior surrogato di manzo e con un malto al cioccolato che contenesse solo una dose minima di gesso, costituiva l’unico vero contributo della California all’alta cucina internazionale.
Io convenivo con lui, fra ruttini aggraziati. Un gruppo di uomini e donne, fra i dodici e i venti individui, saliva e scendeva la scalinata di fronte al palazzo del Capo, e Georges aveva cominciato a zigzagare per schivarli, quando io notai il copricapo di piume d’aquila dell’ometto al centro del gruppo, scoprii sotto i capelli una faccia abbondantemente fotografata, e bloccai Georges con una mano.
E intravvidi qualcosa con la coda dell’occhio: una figura che emergeva da dietro una colonna in cima alle scale.
I miei riflessi scattarono. Sbattei giù sui gradini il Capo, facendo crollare anche un paio di uomini del suo staff, poi balzai alla colonna.
Non uccisi l’uomo che si nascondeva lì dietro; mi limitai a rompergli il braccio con cui reggeva la pistola, poi gli tirai un calcio piuttosto robusto quando tentò di scappare. Non avevo più la fretta del giorno prima.
Dopo aver ridotto la portata del bersaglio costituito dal Capo (credetemi, non dovrebbe portare un copricapo così appariscente), mi era restato il tempo di capire che prendere vivo l’assassino significava poter risalire, forse, alla gang che stava dietro tutti quegli omicidi insensati.
Ma non ebbi il tempo di capire che altro avevo fatto finché due poliziotti della capitale non mi afferrarono per le braccia.
A quel punto me ne resi conto, e mi sentii uno straccio: chissà lo scherno nella voce di Boss, se avessi ammesso che mi ero lasciata arrestare in pubblico.
Per una frazione di secondo, presi in considerazione l’idea di liberarmi e svanire all’orizzonte; non sarebbe stato impossibile, dato che uno dei due poliziotti soffriva chiaramente di pressione alta, e l’altro era un tipo anziano con gli occhiali.
Troppo tardi. Se fossi scappata entrando in overdrive totale, quasi certamente ce l’avrei fatta, e in un minuto o due sarei sparita tra la folla.
Ma quei mentecatti potevano arrostire mezza dozzina di passanti, nel tentativo di fermarmi. Indegno di un professionista! Perché le guardie di palazzo non avevano protetto il loro capo, anziché costringere me a farlo? Un uomo in agguato dietro una colonna, Cristo santo! Niente del genere era più successo dai tempi dell’omicidio di Huey Long.
Perché non mi ero fatta gli affari miei? Perché non avevo lasciato che il killer friggesse il Capo e il suo stupido berretto di piume? Perché sono stata addestrata alla lotta difensiva, ecco perché, e di conseguenza combatto per riflesso. Combattere non mi piace, non mi interessa; succede e basta.
Non ebbi il tempo di meditare sulla necessità di farmi gli affari miei, perché Georges si stava facendo i miei. Georges parla un inglese privo di accento, anche se un po’ incerto; adesso borbottava frasi incoerenti in francese e cercava di togliermi di dosso i due pretoriani.
Quello con gli occhiali mi lasciò andare il braccio sinistro per occuparsi di Georges, così io gli infilai il gomito appena sotto lo sterno. Lui si afflosciò e cadde a terra. L’altro continuava a tenermi il braccio destro, per cui lo colpii nello stesso punto con le prime tre dita della mano sinistra, dopo di che anche quello si afflosciò e cadde riverso sul suo collega, e vomitarono tutti e due.
Tutto questo accadde molto più in fretta di quanto ci voglia a raccontarlo: i porci mi presero, Georges intervenne, e io mi ritrovai libera. Due secondi? In ogni caso, l’assassino era svanito, e con lui la sua pistola.
Stavo per svanire anch’io con Georges, a costo di doverlo portare a braccia, quando mi resi conto che Georges aveva già deciso per me. Mi teneva per il gomito destro e mi spingeva verso l’entrata principale del palazzo, dietro la fila di colonne. Quando fummo sulla rotonda, mi lasciò andare il gomito e disse sottovoce: — Cammina piano, tesoro. Lentamente, lentamente. Dammi il braccio.