A nessuno dei due venne un'idea migliore: perciò si affrettarono a mettere in atto quella della dragonessa. Eragon piegò a metà una coperta per la lunghezza, la legò intorno all'esile corpo dell'elfa e poi la portò da Saphira. Altre coperte e abiti di ricambio vennero sacrificati per fabbricare funi abbastanza lunghe da circondare tutto il corpo di Saphira. Con quelle funi, l'elfa venne legata di schiena al ventre della dragonessa, con la testa sorretta dalle zampe davanti di Saphira. Eragon gettò un'occhiata critica al lavoro. «Temo che a furia di strofinarvi contro, le squame spezzeranno le funi.»
«Allora di tanto in tanto le controlleremo» commentò Murtagh.
«E in questa è in palio la nostra stessa vita!»
Murtagh montò in sella a Tornac e si avviò. Eragon lo seguì in groppa a Fiammabianca. Saphira prese il volo con l'elfa, tenendosi bassa per evitare di farsi scorgere dai soldati. Così schierati, i tre puntarono a sud-est, verso il remoto Deserto di Hadarac.
Eragon continuava a gettarsi occhiate alle spalle, per paura degli inseguitori. La sua mente correva spesso all'elfa.
Per il resto della giornata, Eragon e Murtagh galopparono a rotta di collo, ignorando il disagio e la fatica. Spronarono i cavalli quanto potevano senza arrivare a ucciderli. A volte smontavano e facevano un tratto a piedi, per dare modo a Tornac e Fiammabianca di riposare. Si fermarono soltanto due volte, per far mangiare e bere gli animali.
Anche se i soldati di Gil'ead erano lontani, Eragon e Murtagh si trovarono costretti a evitare nuove truppe ogni volta che superavano una città o un villaggio. In qualche modo l'allarme era stato diffuso in tutto il territorio. Per ben due volte rischiarono di cadere in un agguato lungo la pista e riuscirono a cavarsela solo perché Saphira aveva fiutato i soldati appostati. Dopo il secondo incidente, decisero di abbandonare la pista tracciata.
La luce del crepuscolo ammorbidì i contorni del paesaggio, mentre la sera avanzava nel cielo col suo nero mantello. Viaggiarono per tutta la notte, guadagnando miglio dopo miglio senza un attimo di tregua. A notte fonda, il terreno prese a incresparsi per formare una serie di basse colline punteggiate di cactus.
Murtagh indicò in lontananza. «A qualche miglio di distanza c'è una città. Taurida, che dobbiamo aggirare. Sono sicuro che i soldati ci aspettano anche lì. Dovremmo cercare di passare ora che è buio.»
Dopo tre ore avvistarono le luci gialle di Taurida. La città era circondata dai fuochi di bivacco dei soldati.di sorveglianza. Eragon e Murtagh avvolsero i foderi delle spade in un paio di stracci per attutirne il rumore e smontarono di sella con cautela. Condussero i cavalli a mano per un lungo e tortuoso percorso intorno a Taurida, le orecchie tese a cogliere il minimo rumore che potesse tradire la presenza di soldati.
Quando si furono lasciati, la città alle spalle, Eragon si tranquillizzò un poco. L'alba era vicina, finalmente: il cielo assumeva una tinta rosata e il freddo non era più cosi intenso. Si fermarono in cima a una collina per scrutare i dintorni. Il fiume Ramr era alla loro sinistra, ma anche cinque miglia alla loro destra. Proseguiva verso sud per parecchie leghe, poi curvava su se stesso formando una stretta ansa prima di scorrere di nuovo verso ovest. Avevano percorso oltre sedici leghe in un giorno solo.
Eragon si abbandonò sul collo di Fiammabianca, soddisfatto dei progressi. «Troviamo una gola o una forra dove poter dormire tranquilli» propose. Si fermarono vicino a un boschetto di ginepri e distesero le coperte sotto gli alberi. Saphira attese paziente che slegassero l'elfa dalla sua pancia. «Farò il primo turno di guardia e ti sveglierò a metà mattina» disse Murtagh, e posò la spada di traverso sulle ginocchia incrociate., Eragon borbottò il suo assenso e si tirò le coperte sulle spalle.