Saphira volò in cerchio sopra le dune.
«Cosa?» grugnì Murtagh, scrutando il territorio.
«Guarda meglio» lo esortò Eragon.
Murtagh osservò con attenzione l'orizzonte. Scrollò le spalle. «Cosa? Io non...» Le parole gli morirono sulle labbra, e la mascella minacciò di staccarglisi per lo stupore. Scosse la testa, mormorando: «È impossibile!» Strinse tanto gli occhi da ridurli a fessure. «Sapevo che i Monti Beor erano grandi, ma non mi aspettavo questi mostri!»
«Speriamo che gli animali che li abitano non siano proporzionati alle montagne» scherzò Eragon. Murtagh sorrise. «Perché non ci troviamo un bel posticino comodo e ci prendiamo qualche settimana di vacanza? Ne ho abbastanza di questa marcia forzata.»
«Anch'io non ce la faccio più» ammise Eragon. «ma non voglio fermarmi finché l'elfa non si riprende... o muore.»
«Non vedo come continuare il viaggio possa aiutarla» disse Murtagh, pensieroso. «Un buon letto le farà meglio che restarsene appesa tutto il giorno alla pancia di Saphira.»
Eragon si strinse nelle spalle. «Può darsi... Quando raggiungiamo le montagne, potrei portarla nel Surda: non è lontano. Lì troveremo sicuramente un guaritore che possa curarla; noi non possiamo.» Murtagh si schermò gli occhi con la mano e guardò le montagne. «Ne riparleremo in seguito. Per adesso il nostro obiettivo è raggiungere i Beor. Lì, se non altro, i Ra'zac avranno non pochi problemi a scovarci, e saremo al sicuro dall'Impero.»
Le ore passavano, ma i Monti Beor non sembravano avvicinarsi, anche se il paesaggio mostrava drastici cambiamenti. La sabbia si trasformò lentamente da una distesa di granelli rossicci a un terreno compatto, color crema. Al posto delle dune c'erano macchie irregolari di vegetazione e profondi solchi lasciati dalle alluvioni. Accolsero con sollievo una brezza fresca che dissipò il caldo torrido. I cavalli sentirono il cambiamento di clima e si lanciarono al galoppo.
Quando la sera oscurò il sole, le colline ai piedi dei monti erano a solo un miglio di distanza. Branchi di gazzèlle saltellavano fra prati folti d'erba alta. Eragon colse Saphira che le adocchiava famelica. Si accamparono vicino a un corso d'acqua, lieti di essere usciti dalle grinfie del Deserto di Hadarac.
IL PERCORSO SVELATO
S
finiti e smunti, ma pronti ad aprirsi in grandi sorrisi di trionfo, si sedettero intorno al fuoco congratulandosi a vicenda. Saphira ruggì di gioia, spaventando i cavalli. Eragon fissava le fiamme. Era orgoglioso di aver coperto sessanta leghe in cinque giorni. Era un'impresa
notevole, perfino per un cavaliere in grado di cambiare cavalcatura regolarmente.
Alzò gli occhi alle stelle che luccicavano nel firmamento. E anche se il pensiero di costruirsi una casa nella sicurezza dell'isolamento lo attirava, era stato testimone di troppe atrocità commesse in nome di Galbatorix, dall'omicidio alla schiavitù, per volgere le spalle all'Impero. Non era più soltanto una questione di vendetta per la morte di Garrow e di Brom: da Cavaliere, era suo dovere difendere coloro che non avevano la forza di resistere alla tirannia di Galbatorix.
Con un sospiro abbandonò le sue meditazioni e guardò l'elfa distesa accanto a Saphira. La luce arancione del falò dava al suo volto una calda morbidezza. Piccole ombre le danzavano sotto gli zigomi. Piano piano nella sua mente andò formandosi un'idea.