Eragon contemplò i Monti Beor, che torreggiavano sopra di loro malgrado Saphira volasse a una certa altitudine.
Accigliato, Eragon si spostò sulla sella, agitandosi come un cavallo che caccia le mosche, e controllò la posizione di Murtagh sbirciando da sopra la spalla di Saphira. Una macchia di colore molto distante sulla rotta che avevano percorso attirò la sua attenzione.
Accampati vicino al letto asciutto di un torrente che avevano attraversato nella tarda serata del giorno prima c'erano gli Urgali. I battiti del suo cuore accelerarono.
Eragon sperò che fosse così. Socchiuse gli occhi per proteggersi dalla forte corrente d'aria provocata dalla brusca discesa della dragonessa.
Quando atterrarono, Murtagh domandò brusco: «Che cosa c'è?»
«Gli Urgali ci stanno raggiungendo» disse Eragon, indicando l'accampamento della colonna. «Quanto ancora?» domandò Murtagh, tendendo le mani contro il cielo per calcolare le ore che mancavano al tramonto.
«Normalmente?... Immagino altri cinque giorni. Alla velocità che stiamo tenendo, direi soltanto tre. Ma a meno che non arriviamo domani,. gli Urgali probabilmente ci prenderanno, e Arya morirà.» «Potrebbe resistere un altro giorno.»
«Non possiamo contarci» obiettò Eragon. «L'unico modo per arrivare dai Varden in tempo è non fermarci per nessuna ragione, nemmeno per dormire, È la nostra unica speranza.» Murtagh proruppe in una risata amara. «Come pensi di farcela? Sono giorni che non facciamo un sonno come si deve. A meno che i Cavalieri non siano fatti di una materia diversa dal resto di noi mortali, tu sei stanco come me. Per non parlare dei cavalli. Nel caso tu non l'abbia notato, stanno per crollare. Un altro giorno con questo ritmo potrebbe ucciderci tutti.»
Eragon si strinse nelle spalle. «E allora sia. Non abbiamo scelta.»