Erano soltanto le gigantesche proporzioni delle montagne aguzze e ombrose che la facevano apparire così angusta. Le sue pareti a strapiombo erano interrotte da molte cascate. Il cielo era ridotto a una striscia che si dipanava in alto, perlopiù nascosto da nubi grigie. Dal terreno umido si levava una nebbia densa, che raffreddava l'aria al punto che i loro respiri divennero visibili. Fragole selvatiche facevano capolino fra tappeti di muschio e felci, lottando per un raggio di sole. Su cataste di legno marcio spuntavano funghi velenosi gialli e rossi.
Tutto era ovattato e silenzioso, i suoni soffocati dall'aria pesante. Saphira atterrò vicino a loro in una radura paludosa, il fruscio delle sue ali stranamente attutito. Si guardò intorno. H
Eragon si rivolse a Murtagh. «I Varden sono nascosti alla fine di questa valle. Se ci affrettiamo, potremo arrivare prima di notte.»
Con le mani sui fianchi, Murtagh borbottò: «Come faccio a uscire di qui? Non vedo valli secondarie, e gli Urgali ci saranno addosso fra breve. Mi serve una via di fuga.»
«Non temere» disse Eragon, impaziente. «Questa valle è molto lunga; sono sicuro che più avanti ci sarà un'uscita.» Liberò Arya da Saphira e la depose sul dorso di Fiammabianca. «Sorveglia l'elfa. Io volo con Saphira. Ci incontriamo più avanti.» Si arrampicò sul dorso della dragonessa e si legò sulla sella.
«Sta' attento» disse Murtagh, un solco profondo fra le sopracciglia; poi incitò i cavalli e tornò nella foresta.
Mentre Saphira balzava verso il cielo, Eragon disse:
Salirono fino alle nubi: l'aria era satura di umidità gelata. Un'informe coltre grigia li avvolse, limitando la visione a un braccio di distanza, Eragon sperò che non andassero a urtare da qualche parte, in quella massa nebulosa. Provò a tendere una mano e la tese nell'aria. L'acqua si condensò e gli colò lungo il braccio, inzuppandogli la manica.
Una sagoma grigia gli passò accanto alla testa, e lui scorse una colomba, le ali che si agitavano frenetiche. Aveva una fascia bianca intorno a una zampa, Saphira puntò verso il pennuto, la lingua penzoloni, le fauci spalancate. La colomba stridette mentre i denti affilati di Saphira si richiudevano con uno schiocco a un soffio dalle sue penne. La colomba schizzò via e scomparve nella nebbia, il frenetico battito d'ali che calava, via via inghiottito dal silenzio.
Quando emersero dalla sommità delle nuvole, Saphira era coperta da migliaia di goccioline iridescenti, che scintillavano insieme all'azzurro delle sue squame, Eragon si scrollò, spruzzando acqua dai vestiti, e rabbrividì. Non riusciva più a vedere il suolo, soltanto colline di nuvole che serpeggiavano fra le montagne.
Gli alberi avevano lasciato il posto a vasti ghiacciai, azzurri e bianchi sotto il sole. Il riverbero della neve costrinse Eragon a chiudere gli occhi. Provò ad aprirli dopo un minuto, ma la luce lo accecò. Irritato, abbassò lo sguardo.
Faceva freddissimo. L'acqua sui capelli di Eragon gelò, trasformandosi in una sorta di elmo lucente. La camicia e i pantaloni erano gusci durissimi contro la sua pelle. Le squame di Saphira erano scivolose di ghiaccio; merletti di brina le orlavano le ali. Non avevano mai volato così in alto prima, eppure le cime delle montagne erano ancora miglia sopra di loro.
Il ritmo con cui Saphira batteva le ali rallentò piano, e il suo respiro divenne difficoltoso. Eragon ansimava e boccheggiava; gli sembrava che non ci fosse abbastanza aria.