Il nano era impegnato a strizzarsi la lunga barba intrecciata. Aveva il torace ampio e robusto, e portava una cotta di maglia senza maniche, da cui spuntavano le braccia tozze e muscolose. Intorno alla vita aveva una cintura a cui era appesa un'ascia di guerra. In testa portava una calotta di cuoio cerchiata di ferro, con il simbolo di un martello circondato da dodici stelle. Nonostante l'elmetto, a stento. sfiorava i quattro piedi di altezza. Guardò con desiderio la battaglia e disse: « Barzul, come mi piacerebbe tuffarmi nella mischia!»
Saphira e Mùrtagh erano davanti al tunnel, circondati da uno strano miscuglio di uomini e nani. Vicino a Murtagh c'era un uomo calvo, senza barba, vestito di un lungo abito oro e porpora. Era più alto degli altri umani, e teneva un pugnale alla gola di Murtagh.
Eragon fece per evocare il potere, ma l'uomo dal lungo vestito disse con voce aspra, minacciosa: «Fermati! Se usi la magia, ucciderò il tuo caro amico, che è stato così gentile da dirci che sei un Cavaliere. Non credere che io non sappia che cosa stai facendo. Non puoi nascondermi niente.» Eragon cercò di parlare, ma l'uomo scoprì i denti e premette più forte il coltello contro la gola di Murtagh. «Non fiatare! Se dici o fai qualcosa che non ti ho ordinato, lui morirà. E ora, tutti dentro.» Tornò nel tunnel; spingendo Murtagh davanti a sé senza smettere di tenere d'occhio Eragon.
IN CERCA DI RISPOSTE
«D
i qua» ordinò l'uomo calvo. Fece un passo indietro, il pugnale sempre premuto contro il mento di Murtagh, poi voltò a destra per imboccare una porta ad arco. I guerrieri lo seguirono prudenti, concentrati su Eragon e Saphira. I cavalli furono scortati in un
altro tunnel.
Stordito dal turbine di eventi, Eragon si affrettò a seguire Murtagh. Scoccò un'occhiata a Saphira per avere la conferma che Arya fosse ancora legata sulla sua sella.
Seguì l'uomo calvo lungo uno stretto corridoio, sempre sotto la minaccia delle armi. Passarono davanti alla scultura, di uno strano animale con folte penne. Il corridoio piegò a sinistra, poi a destra. Si aprì una porta ed entrarono in una stanza spoglia, grande abbastanza perché Saphira vi si potesse muovere con agio. Si udì un cupo rimbombo quando la porta si chiuse, seguito da un raspare metallico che segnalò lo scatto del chiavistello.
Eragon studiò la sala, con Zar'roc ancora stretta in pugno. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano di lucido marmo bianco, che rifletteva l'immagine spettrale di ogni presente, come uno specchio di latte screziato. In ciascuno degli angoli splendeva una delle insolite lanterne. «C'è qualcuno...» cominciò a dire Eragon, ma l'uomo calvo lo zittì con un gesto.
«Non parlare! Devi aspettare finché non sarai stato messo alla prova.» Spinse Murtagh contro uno dei guerrieri, che subito gli premette la lama sulla gola. L'uomo calvo giunse le mani. «Togliti le armi e dammele.» Un nano sganciò la spada di Murtagh e la lasciò cadere a terra con un sonoro clangore.
Pur restio a separarsi da Zar'roc, Eragon slacciò il fodero e lo depose, insieme alla spada, sul pavimento. Vicino posò l'arco e la faretra, e poi spinse le armi verso i guerrieri. «Ora allontanati dal drago e avvicinati a me, lentamente» ordinò l'uomo calvo.