L'uomo calvo indietreggiò barcollando, poi si rivolse a Orik con rabbia. «Come osi?» ululò. «Hai criticato la mia autorità, hai aperto i cancelli senza permesso, e ora questo! Non sei altro che un insolente e un traditore. Credi che il tuo re continuerà a proteggerti, quando lo saprà?» Orik non si lasciò intimorire. «Tu li avresti lasciati morire! Se avessi aspettato solo un altro istante, gli Urgali li avrebbero uccisi.» Indicò Murtàgh, che ansimava. «Non abbiamo il diritto di torturarlo per estorcergli informazioni! Ajihad non approverebbe. Non dopo che hai esaminato il Cavaliere e lo hai trovato degno di fiducia. E ricorda, ci hanno riportato Arya.»
«Allora permetteresti loro di entrare senza esame? Sei così stupido da metterci tutti, a rischio?» disse l'uomo calvo, schiumando di collera a stento repressa; sembrava pronto a balzare alla gola del nano.
«Sa usare la magia?»
«Cosa...»
«Sa usare la magia?» ruggì Orik. La sua voce roca echeggiò per tutta la sala. L'uomo calvo perse di colpo ogni espressione. Si intrecciò le mani dietro la schiena.
«No.»
«Allora di che cosa hai paura? È impossibile che fugga, e non può fare niente di male con tutti noi qui, soprattutto se i tuoi poteri sono così grandi come sostieni. E comunque non ascoltare me; chiedi a Ajihad cosa vuole.»
L'uomo calvo fissò Orik per un momento, con espressione indecifrabile, poi alzò gli occhi al soffitto e li chiuse. Le sue spalle assunsero una rigidezza innaturale, mentre le sue labbra si muovevano senza emettere suono. Rughe profonde gli solcarono la pallida pelle della fronte, e le sue dita si strinsero, come se stesse strangolando un nemico invisibile. Rimase così per parecchi minuti, assorto in una muta conversazione.
Quando aprì gli occhi, ignorò deliberatamente Orik per ordinare brusco ai guerrieri: «Uscite subito!» Mentre gli uomini abbandonavano la sala in ranghi ordinati, si rivolse a Eragon e disse in tono gelido: «Poiché non sono riuscito a completare il mio esame, tu e... il tuo amico resterete qui, stanotte. Se cerca di fuggire, verrà ucciso.» Detto questo, si voltò e usci dalla stanza, il cranio rasato che scintillava pallido alla luce delle lanterne.
«Grazie» mormorò Eragon a Orik.
Il nano borbottò una frase di assenso. «Farò in modo che vi portino da mangiare» disse. Mormorò una serie di parole sottovoce, poi uscì, scuotendo il capo. Il chiavistello scattò di nuovo. Eragon si sedette, stranamente stordito dopo l'
eccitazione della giornata e la marcia forzata. Aveva le palpebre pesanti. Saphira si accovacciò accanto a lui.«Come hai fatto a resistergli? È molto forte.»
«Sono... sono stato ben addestrato.» Nella sua voce risuonò una nota amara.
Li avvolse una cappa di silenzio. Lo sguardo di Eragon indugiò su ciascuna delle lanterne appese negli angoli. Lasciò vagare i pensieri, finché non si riscosse per dire: «Non gli ho permesso di sapere chi sei.»
Murtagh parve sollevato. Chinò il capo e disse: «Ti ringrazio di non avermi tradito.» «Non ti hanno riconosciuto.»
«No.»
«Ma sostieni ancora di essere il figlio di Morzan?» «Sì» sospirò Murtagh.
Eragon fece per parlare, ma si fermò quando sentì del liquido caldo piovergli su una mano. Abbassò lo sguardo e rimase sbalordito nel vedere una grossa goccia di sangue scuro colargli sulla pelle. Era caduta dall'ala di Saphira.
Completata l'opera, Eragon si abbandonò contro il fianco di Saphira, respirando affannoso. Sentiva il grande cuore della dragonessa pulsare con il costante battito della vita. «Spero che facciano in fretta a portarci il cibo» disse Murtagh.