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A un tratto prese a distinguere grossi pilastri di marmo allineati lungo le pareti. Rubini e ametiste scintillavano incastonati nella pietra. Decine di lanterne pendevano dagli spazi fra i pilastri, spandendo nell'aria una fluida brillantezza. Uno squisito traforo d'oro scintillava dalla base dei pilastri come merletto liquido. Nel soffitto a volta erano intagliate teste di corvo, i becchi aperti in un muto stridio. Alla fine del corridoio erano ritagliate due colossali porte nere, con strisce d'argento che raffiguravano una corona a sette punte.


L'uomo calvo si fermò e alzò una mano. Si rivolse a Eragon. «Ora salirai sul tuo drago. Non tentare di volare via. Ci saranno delle persone a osservarti, perciò ricorda chi e che cosa sei.» Eragon smontò da Fiammabianca e si arrampicò sul dorso di Saphira. Credo che vogliano metterci in mostra, disse lei, mentre Eragon si assestava in sella.


Lo vedremo. Quanto vorrei avere Zar'roc con me, rispose lui, stringendosi le cinghie intorno alle gambe.


Forse è meglio che non ti mostri ai Varden per la prima volta con la spada di Morzan. Giusto. «Sono pronto» disse Eragon, drizzando le spalle.


«Bene» disse l'uomo calvo. Lui e Orik si ritirarono ai lati di Saphira, a distanza sufficiente da dare l'impressione che fosse lei a guidare il corteo. «Ora andate verso le porte, e una volta entrati, seguite il percorso. Procedete adagio.»


Pronta? chiese Eragon.


Certo. Saphira si avvicinò alle porte con studiata lentezza. Le sue squame scintillavano alla luce, proiettando miriadi di raggi colorati contro i pilastri. Eragon trasse un respiro profondo per calmarsi.


D'un tratto le porte si schiusero verso di loro, girando su cardini invisibili. Mentre lo spiraglio si allargava, raggi di sole inondarono il tunnel, investendo per primi Eragon e Saphira. Abbagliato, Eragon batté le palpebre e socchiuse gli occhi. Quando il suo sguardo si fu abituato alla luce, Eragon trattenne il fiato.


Erano dentro un enorme cratere vulcanico. Le sue pareti si restringevano verso la sommità fino a una piccola apertura frastagliata, così alta che Eragon non riuscì a valutare la distanza: forse più di dieci miglia. Un morbido fascio di luce pioveva dall'apertura, illuminando il centro del cratere, ma lasciando il resto in una soffusa penombra.


Il lato opposto del cratere grigio-azzurro in lontananza, sembrava lontano un'altra decina di miglia. Giganteschi ghiaccioli spessi centinaia di piedi e lunghi migliaia pendevano a leghe sopra di loro come pugnali scintillanti. Eragon sapeva dalla sua esperienza nella valle che nessuno, nemmeno Saphira, avrebbe potuto raggiungere quelle altezze. Più in basso, le pareti del vulcano erano coperte da scuri tappeti di muschio e licheni.


Abbassò lo sguardo e vide un ampio sentiero lastricato che partiva dalla soglia dove si trovavano. Il sentiero tagliava dritto verso il centro del cratere, dove terminava alla base di una montagna bianca come la neve, che brillava come una gemma grezza, sfavillante di mille luci colorate. Era alta meno di un decimo del cratere che torreggiava intorno e su di essa, ma il suo aspetto ridotto era ingannevole, perché doveva essere alta almeno un miglio.


Per quanto lungo, il tunnel li aveva condotti soltanto attraverso una delle pareti del cratere. Mentre Eragon osservava lo scenario a bocca aperta. Orik disse in tono solenne: «Guarda bene, umano, poiché nessun Cavaliere ha posato i suoi occhi su questi luoghi da oltre cento anni. La grandiosa vetta sotto cui ci troviamo è il Farthen Dùr, scoperto migliaia di anni fa dal progenitore della nostra stirpe, Korgan, mentre scavava in cerca di oro. E al centro sorge la nostra più sublime realizzazione: Tronjheim, la città-montagna, costruita con il marmo più puro.» Le porte si bloccarono con un lievissimo cigolio.


Una città!


Fu allora che Eragon notò la folla. Era rimasto così sbalordito dalla visione che non si era accorto della marea di persone assiepate intorno all'ingresso del tunnel. Nani e umani fiancheggiavano il sentiero lastricato come alberi di un viale. Erano centinaia, migliaia. Ogni sguardo, ogni volto era concentrato su Eragon. E tutti tacevano.


Eragon strinse la base di una delle punte sulla nuca di Saphira. Vide bambini vestiti di piccole tuniche impolverate, uomini col volto scavato e le nocche graffiate, donne con abiti cuciti in casa, e tozzi, temprati nani che si accarezzavano la barba. Tutti avevano la stessa espressione tesa, quella di un animale ferito quando sente che il predatore è vicino e non ha vie di fuga.


Una gocciolina di sudore scivolò lungo il viso di Eragon, ma lui non osò muoversi per asciugarla. Che cosa devo fare? chiese agitato.


Sorridi, alza la mono, qualunque cosai rispose Saphira in tono sbrigativo.


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