Ritchie raggiunse il banco a specchi, appoggiò il disco di credito su una pupilla elettronica. — Uno scotch e uno sputafuoco — disse al microfono incorporato. Subito uscirono due bicchieri incrostati di ghiaccio. Uno dei due era circondato da un alone rosa, a indicare che conteneva qualcosa di diverso dal semplice alcol. Carewe prese l’altro bicchiere e sorseggiò il liquore, osservando l’ambiente. Quasi tutti i clienti erano attivi di età variabile. Le ragazze della casa, tutte coi soliti vestiti di perline luminose, si aggiravano fra tavoli e separé, simili a lingue di fuoco solidificato. I freddi erano pochi. Comunque Carewe si sentì sollevato scoprendo che vestivano tutti normalmente e chiacchieravano fra loro con perfetta disinvoltura.
— Calmati, Willy. — Sembrava che Ritchie gli avesse letto nel pensiero. — Questo è un locale per bene. Nessuno ti farà proposte.
I dubbi di Carewe su quella serata con Ritchie crebbero di colpo. — Io non credo poi molto alla necessità di tabù sociali — disse, calmo, — ma non ti ha mai detto nessuno che i maschi inattivi sentono una profonda avversione al fatto di essere ritenuti omosessuali potenziali?
— Chiedo scusa, professore. Ma cosa ho detto?
— Perché qualcuno dovrebbe farmi delle proposte?
— Ti ho chiesto scusa. — Ritchie bevve quasi tutto il suo sputafuoco e sorrise. — Non scaldarti, coglione d’un pirla. Io penso semplicemente che bisognerebbe infrangere tutti i tabù. È l’unico modo intelligente di vivere.
— Tutti i tabù?
— Già.
— Ne sei sicuro?
— Certo. — Ritchie appoggiò il bicchiere sul banco. — Beviamo qualcos’altro.
— Prendi il mio whisky. L’ho appena assaggiato. — Carewe afferrò la calzamaglia di Ritchie all’altezza del petto, la tirò verso di sé, vuotò il bicchiere dentro la scollatura, poi lasciò andare il tessuto elasticizzato.
— Cosa diavolo… — La gola di Ritchie sembrava squassata dal passaggio delle parole. — Cosa diavolo stai facendo?
— Infrango il tabù che impedisce di versare un liquore addosso a un altro. Anch’io voglio vivere con intelligenza.
— Sei pazzo! — Ritchie abbassò gli occhi, fissò il liquido che gli stava uscendo dal fondo della calzamaglia. Infuriato, strinse i pugni. — Io ti riduco a pezzettini.
— Se ci provi — disse Carewe, serissimo, — ti prometto che non rivedrai mai più i cento neodollari che hai pagato per entrare qui.
— Allora è proprio vero quello che si dice di te.
— Cioè?
— Cioè che sei il finocchio più finocchio di questo mondo. — Ritchie gli mise d’improvviso la faccia sotto il naso. — Lo sappiamo tutti perché Barenboim ti ha fatto fare carriera così in fretta, Willy. Allora, dov’è che ve ne siete andati voi due, con la scusa che tu dovevi fare un salto a Pueblo?
Carewe, che non aveva mai picchiato un altro essere umano da quando aveva raggiunto l’età della ragione, tirò un pugno alla gola di Ritchie. Un pugno da inesperto, ma l’altro crollò in ginocchio, boccheggiando. Dalle tenebre si materializzò uno squadrone di donne robuste, con l’elmetto. Afferrarono Carewe per le braccia e lo trascinarono fuori dal bar. Nell’atrio, lo tennero immobile per un attimo davanti a un analizzatore elettronico, per permettere al computer del locale di memorizzare il suo aspetto, poi lo scortarono fino alle scale e lo lasciarono andare. Gli uomini che entravano, sghignazzando, fecero diverse ipotesi sul fatto che un freddo venisse sbattuto fuori da un bordello, ma Carewe non provò il minimo imbarazzo. Era da un po’ di tempo che sentiva il bisogno di dare un pugno a qualcuno, ed era riconoscente a Ritchie per avergli reso tutto così facile. Il ricordo del pugno viaggiava ancora nella sua mano, nel braccio, come una specie di scossa elettrica, e lui si sentì quasi in pace per quello che era successo con Athene.
Fu solo molto più tardi, dopo aver bevuto una quantità eccessiva di whisky, che Carewe cominciò a riflettere. Ritchie, che lo conosceva appena, sembrava perfettamente al corrente del suo rapporto “segreto” con Barenboim. Sia Barenboim sia Pleeth avevano fatto del loro meglio perché nessuno sapesse dell’esperimento con l’E.80. Si era verificata una fuga di notizie?
Quando si addormentò, pensò che gli si stendevano davanti secoli e secoli di pericolo; e, ancora una volta, in sogno il suo corpo era fatto di vetro.
6
Al di sopra dell’aeroporto, il cielo del mattino era chiarissimo e sgombro, a eccezione dell’enorme colonna di vapore che circondava il campo tubolare per l’assorbimento del suono. L’aria a livello del suolo, relativamente calda, filtrava nel campo attraverso minuscole fessure e saliva velocissima, trasformando il tubo in una specie di reattore invisibile che si scaricava su strati più alti dell’atmosfera. Carewe, che era arrivato presto, guardò diversi velivoli rollare alla base della colonna di nubi, alzarsi in verticale e svanire. Cercò di seguirli con lo sguardo fino in alto, quando riemergevano dal campo e ripartivano in orizzontale, ma il chiarore diffuso del cielo gli feriva gli occhi. Fu costretto a rinunciare.