Raggiunse il comunicatore, diede il numero della comune in cui viveva Katrina Targett, la madre di Athene, ma poi annullò la chiamata prima di avere la linea. La comune distava poco più di quindici chilometri. Poteva arrivarci in qualche minuto. Erano trascorsi più di due anni dall’ultima volta che c’era stato, ma riuscì a impostare, sull’orientatore della pallottola, i numeri delle coordinate dell’edificio. L’orientatore gli disse, man mano che procedeva, quali strade imboccare. Le tenebre erano fitte quando si fermò davanti alla comune. Era un edificio a due piani, del tipo standard concesso alle donne che volevano vivere assieme in gruppo. Esistevano appartamenti singoli per le donne con figli piccoli, e per chi decidesse di unirsi per un po’ a un maschio, ma gli altri aspetti della vita in quel luogo erano in buona parte comunitari. A Carewe la comune non piaceva, probabilmente perché sua madre aveva continuato ad abitare in un appartamento singolo dopo che suo padre era partito in cerca di nuove avventure.
La porta era aperta. Entrato nell’atrio rettangolare, trovò una ragazza bruna e snella, apparentemente sui venticinque anni, intenta a curare un giardino. Sembrava quasi la madre di Athene; ma Carewe, pessimo fisionomista, non ne era sicuro.
— Signora Targett? — Le si avvicinò. — Siete la madre di Athene?
Lei lo fissò sorridendo, ma il sorriso non riuscì a nascondere la freddezza del suo sguardo quando la donna notò la faccia glabra di Carewe. — No.
— Scusatemi. Mi sembrava che foste…
— Una della famiglia? — La sua voce era profonda e calda. — Infatti. Sono la nonna di Athene. E voi chi siete?
— Will Carewe. Non sapevo…
— Oh, qui risaliamo fino alla quarta generazione. I Targett hanno un forte spirito di clan, anche se è un po’ fuori moda. — La donna lasciò cadere un seme nella terra umida e vi puntò sopra un proiettore biotrofico, poi rimase a guardare con aria critica lo stelo che usciva dal terreno, coprendosi subito di foglie e boccioli.
— È… molto bello — disse Carewe, impacciato. In realtà, gli aveva sempre ripugnato l’idea di figli che restavano attaccati a madri che a loro volta erano figlie attaccate alla propria madre, e così via. In certe comuni vivevano otto generazioni di donne, che a lui sembravano solo una serie infinita di bamboline contenute l’una nell’altra, — L’unità familiare può essere ancora importante.
— Sì. — La donna, che non si era nemmeno presentata per nome, spense il proiettore. Si chinò a studiare il fiore, sbuffò di disgusto e lo strappò dal terreno. Poi lo lasciò cadere ai suoi piedi. Le radici pallide del fiore si agitarono debolmente, come vermi. — L’ho fatto troppo alto. Quando non mi concentro, li faccio troppo alti.
— Mi spiace. Carewe restò a guardare le radici che continuavano a muoversi. La donna spostò un comando del proiettore e lo puntò di nuovo sul fiore. La piantina si annerì e scomparve, restituendo alla terra i propri componenti. — Ci vuole un sacco di lavoro e di pazienza per il giardinaggio, vero?
— Se è una cosa che non approvi, Will, e capisco benissimo che non l’approvi, dovresti dirlo apertamente…
— Chi ha detto che non l’approvo? Carewe rise, senza riuscire a essere troppo convincente; guardò il terreno, e chissà perché gli tornò in mente la rana che aveva salvato nel parcheggio della Farma.
La donna aspirò rumorosamente. — Be’? Dov’è Athene?
— È quello che volevo chiedere a voi.
— E io come faccio a saperlo, Will? È partita da qui ieri, appena ricevuta la tua telefonata. — La donna si rialzò e osservò attentamente la faccia di Carewe. — Vuoi dire che non è…
— Ieri ero in Africa — disse lui, cupo. — E non ho telefonato a nessuno.
— Allora Athene dov’è?
Carewe non sentì quasi quelle parole, ma l’interrogativo continuò a perseguitarlo per tutto il viaggio di ritorno a casa.
Un’ispezione meticolosa Alla casa non gli offrì il minimo indizio. Non riuscì nemmeno a decidere se il giorno prima Athene fosse tornata lì. Non c’erano né messaggi registrati, né biglietti. Niente. Di nuovo senza fiato, Carewe corse al comunicatore e diede il numero della sede centrale della Farma. Gli apparve davanti, sospesa in aria, la proiezione tridimensionale di un’immagine elettronica: l’archetipo della segretaria tradizionale, creata artificialmente dal computer.
— Sono spiacente — disse l’immagine con voce allegra, — ma l’orario d’ufficio è terminato, e per oggi il personale della Farma Corporation ha cessato il lavoro. Saranno di nuovo a vostra disposizione domattina, dalle nove e trenta in poi.
— Debbo parlare di questioni urgenti col signor Barenboim.
— Vi assisterò nei limiti del possibile. Avete un codice di priorità?