Si fece schermo agli occhi con le mani e cercò di scrutare attraverso il finestrino accanto a lui. Là fuori, l’ala reclinata all’indietro della nave spaziale splendeva come metallo incandescente nella luce solare riflessa; tutto attorno a essa regnava la più fitta oscurità, e quell’oscurità doveva essere colma di stelle… ma era impossibile scorgerle.
Il peso stava lentamente defluendo; i razzi venivano gradualmente spenti, mentre la nave spaziale si collocava in orbita. Il tuono dei motori si ridusse a un rombo soffocato, poi a un sibilo dolce, quindi si spense nel silenzio. Se non fosse stato per le cinghie che lo trattenevano, Floyd avrebbe galleggiato fuori dal sedile; sembrava, in ogni modo, che il suo stomaco fosse sul punto di fare proprio questo. Sperò che le pillole ingerite mezz’ora prima e sedicimila chilometri più indietro producessero gli effetti previsti. Aveva sofferto di nausea spaziale una sola volta nel corso della sua carriera, ed era anche troppo.
La voce del pilota suonò ferma e fiduciosa uscendo dall’altoparlante della cabina. «Prego rispettare tutti i regolamenti relativi a Zerog. Attraccheremo alla Base Spaziale Uno tra quarantacinque minuti esatti.»
La hostess si avvicinò risalendo lo stretto passaggio a destra dei sedili molto vicini l’uno all’altro. V’era un che di lievemente molleggiato nei suoi passi e i piedi di lei si staccavano dal pavimento con riluttanza, come se fossero invischiati in uno strato di colla. Seguiva la striscia di tappeto Velcro, giallo acceso, che rivestiva per tutta la lunghezza il pavimento… e il soffitto. Il tappeto, come le suole dei suoi sandali, era coperto di miriadi di minuscoli ganci che aderivano gli uni agli altri. Questo espediente per camminare in assenza di peso riusciva a rassicurare immensamente i passeggeri disorientati.
«Gradirebbe un caffè o un tè, dottor Floyd?» ella domandò allegramente.
«No, grazie», sorrise lui. Si sentiva sempre come un neonato quando doveva succhiare da uno di quei tubi di plastica.
La hostess continuò a rimanergli accanto ansiosamente, mentre Floyd apriva la borsa di cuoio e si accingeva a toglierne le carte.
«Dottor Floyd, posso farle una domanda?»
«Ma certo», le rispose, guardandola al di sopra degli occhiali.
«Il mio fidanzato è geologo a Clavius», disse la signorina Simmons, misurando cauta le parole, «e non ho sue notizie da più di una settimana.»
«Sono dolente di saperlo; forse è lontano dalla sua base e nell’impossibilità di mettersi in contatto.»
Ella scosse la testa. «Mi avverte sempre quando questo sta per accadere. E può immaginare quanto sono preoccupata… con tutte queste voci. È proprio vero quello che dicono, di un’epidemia sulla Luna?»
«Anche se fosse vero, non è il caso di allarmarsi. Rammenti, vi fu una quarantena nel 1998, per quella mutazione del virus influenzale. Molti si ammalarono, ma nessuno morì. E non posso dirle altro, davvero», concluse con fermezza.
La signorina Simmons sorrise affabile e si raddrizzò.
«Bene, grazie lo stesso, dottore. Scusi se l’ho disturbata.»
«Non è stato affatto un disturbo», disse lui, galante, ma non molto sincero. Poi si calò nei suoi interminabili rapporti tecnici, in un disperato assalto dell’ultimo momento ai soliti arretrati.
Non avrebbe avuto il tempo di leggere una volta arrivato sulla Luna.
8. APPUNTAMENTO IN ORBITA
Mezz’ora dopo, il pilota annunciò: «Prenderemo contatto tra dieci minuti. Prego controllare le cinture di sicurezza.»
Floyd ubbidì e mise via le carte. Significava andare in cerca di guai leggere durante il gioco di destrezza celeste che si svolgeva durante gli ultimi cinquecento chilometri; meglio chiudere gli occhi e rilassarsi, mentre la nave spaziale veniva spostata di poco avanti e indietro mettendo brevemente in azione i razzi.
Pochi minuti dopo, intravide per la prima volta la Base Spaziale Uno, a pochi chilometri appena di distanza. La luce solare veniva riflessa con scintillanti bagliori dalle levigate superfici metalliche del disco, del diametro di trecento metri, in lenta rotazione.
Non lontano, alla deriva sulla stessa orbita, vi era un aereo spaziale TitovV dalle ali a freccia e, nelle sue vicinanze, un Aries-1B quasi sferico, il cavallo da tiro dello spazio, con le quattro tozze gambe dei suoi ammortizzatori d’urto per l’atterraggio lunare che sporgevano da un lato.
La nave spaziale Oriente 111 si stava abbassando da un’orbita superiore, e ciò rese la Terra spettacolarmente visibile dietro la Base. Dall’altezza di trecentoventi chilometri, Floyd poteva vedere gran parte dell’Africa e dell’oceano Atlantico. V’era una coltre di nuvole notevolmente estesa, ma riuscì ugualmente a scorgere i profili azzurroverdi della Costa d’Oro.