Facendo quindi lo stesso ragionamento all’indietro nel tempo, ne conseguiva che essi erano stati creati soltanto di recente, appena due o tre milioni di anni prima.
Ma nessuno si era mai sognato di riflettere su una coincidenza curiosa; gli anelli di Saturno erano apparsi contemporaneamente al genere umano.
34. IL GHIACCIO IN ORBITA
La Discovery era ormai penetrata in profondità nel vasto sistema di lune, e lo stesso grande pianeta si trovava a meno di un giorno di distanza. L’astronave aveva varcato ormai da tempo il confine segnato dalla più esterna Febe, che ruotava in senso retrogrado lungo un’orbita follemente eccentrica, a dodici milioni di chilometri dal suo pianeta. Davanti all’astronave si trovavano ora Giapeto, Iperione, Titano, Rea, Dione, Teti, Encelado, Miniante e Giano… nonché gli anelli. Tutti i satelliti rivelavano al telescopio un labirinto di particolari superficiali, e Bowman aveva trasmesso alla Terra tutte le fotografie che era riuscito a scattare. Il solo Titano, che, con un diametro di quattromilaottocento chilometri era grande quanto il pianeta Mercurio, avrebbe tenuto impegnato per mesi un gruppo di ricognizione; Bowman poté rivolgere a esso, e a tutti i suoi compagni, soltanto il più fuggevole degli sguardi. Non occorreva niente di più; egli era già assolutamente certo che Giapeto fosse effettivamente la sua mèta.
Tutti gli altri satelliti erano butterati da alcuni crateri di meteoriti, sebbene questi ultimi fossero di gran lunga meno numerosi che su Marte, e vi si vedevano disposizioni in apparenza casuali di ombre e di luci, nonché, qua e là, alcuni punti luminosi, consistenti, con ogni probabilità, di animassi di gas gelato. Il solo Giapeto possedeva una geografia ben distinta, e una geografia, invero, assai strana.
Un emisfero del satellite che, al pari dei suoi compagni, voltava sempre la stessa faccia verso Saturno, era estremamente buio e lasciava intravedere ben pochi particolari superficiali. In netto contrasto, l’altro emisfero era dominato da un brillante ovale bianco, lungo circa centosessanta chilometri e largo trecentoventi. In quel momento, soltanto una parte della così sorprendente formazione veniva illuminata dalla luce del giorno, ma il motivo delle straordinarie variazioni di luminosità di Giapeto appariva ormai del tutto ovvio. Sul lato ovest dell’orbita della luna, la vivida ellisse era rivolta verso il Sole… e la Terra. Sul lato est dell’orbita, l’ovale rimaneva rivolto nella direzione opposta, e si poteva osservare soltanto l’emisfero che rifletteva fiocamente la luce.
La grande ellisse era perfettamente simmetrica e si trovava a cavallo dell’equatore di Giapeto, con il suo asse maggiore orientato verso i poli; aveva orli così netti da dare quasi l’impressione che qualcuno avesse molto accuratamente verniciato un enorme ovale bianco sulla superficie della piccola luna. Appariva completamente piatta, e Bowman si domandò se non potesse trattarsi di un lago di liquido ghiacciato… anche se ciò difficilmente avrebbe potuto spiegare il suo stupefacente aspetto artificiale.
Ma gli rimase ben poco tempo per studiare Giapeto, mentre l’astronave si addentrava nel cuore del sistema di Saturno, poiché il momento culminante del viaggio, l’ultima manovra di perturbazione della Discovery, andava avvicinandosi rapidamente. Rasentando Giove, la nave spaziale aveva sfruttato il campo gravitazionale del pianeta per aumentare la velocità. Ora doveva fare l’opposto; doveva diminuire il più possibile la propria velocità per non sottrarsi al sistema solare continuando così il volo verso le stelle. La sua orbita attuale era stata studiata in modo da intrappolarla, affinché essa divenisse un’altra luna di Saturno e continuasse a oscillare avanti e indietro lungo una stretta ellisse lunga tre milioni e duecentomila chilometri. Nel punto più vicino avrebbe quasi sfiorato il pianeta; in quello più lontano, avrebbe toccato l’orbita di Giapeto.
I calcolatori sulla Terra, sebbene le loro informazioni giungessero sempre con tre ore di ritardo, avevano assicurato a Bowman che tutto era in ordine. Velocità e altezza risultavano esatte; non rimaneva null’altro da fare, fino al momento del massimo avvicinamento.
L’immenso sistema di anelli si estendeva ormai attraverso tutto il firmamento e già l’astronave stava passando sul suo margine estremo. Contemplando gli anelli dall’altezza di circa sedicimila chilometri, Bowman poté constatare, attraverso il telescopio, che erano formati in vasta misura di ghiaccio, splendente e scintillante alla luce del Sole. Si sarebbe detto che avesse sorvolato una tormenta di neve, la quale di quando in quando cessava rivelando, là ove avrebbe dovuto trovarsi il suolo, deludenti squarci di notte e di stelle.