«Un giorno, Miss Universo, ti stancherai di minacciarmi a vuoto. Non vedo l’ora che arrivi, quel giorno».
«Basta, Jacob», disse Bella.
Guardai verso di lei, che mi osservava cupa. Il buonumore del giorno precedente sembrava già svanito da un pezzo.
Be’, non era certo lei che volevo infastidire. «Vuoi che me ne vada?».
Prima che potessi sperare, o temere, che si fosse finalmente stancata di me, batté le ciglia e distese la fronte. Sembrava totalmente sorpresa che fossi giunto a quella conclusione. «No! Certo che no».
Sospirai e udii anche Edward sospirare pianissimo. Chissà quanto desiderava che Bella mi dicesse di andare. Purtroppo non le avrebbe mai chiesto di fare qualcosa che la rendesse infelice.
«Sembri stanco», commentò lei.
«Morto», ammisi.
«Se vuoi morire davvero fammi un fischio», bofonchiò Rosalie, troppo piano perché Bella la udisse.
Mi ero appena lasciato sprofondare nella sedia, per stare più comodo. Il mio piede nudo penzolò più vicino a Rosalie, che s’irrigidì. Dopo qualche minuto Bella le chiese di riempirle il bicchiere. Sentii il vento sollevato dalla vampira mentre saliva in tutta fretta a prendere un altro po’ di sangue. Era tutto molto tranquillo. Forse potevo anche concedermi un riposino.
A quel punto Edward, perplesso, chiese: «Hai detto qualcosa?». Strano. Nessuno aveva aperto bocca e l’udito di Edward era fine quanto il mio, lo sapeva bene.
Fissava Bella, e lei lo ricambiava. Sembravano confusi.
«Io?», chiese lei dopo un secondo. «Io non ho detto niente».
Lui si mise sulle ginocchia, chino su di lei, con l’espressione carica di un’intensità così nuova e diversa. I suoi occhi neri erano concentrati sul viso di Bella.
«Che stai pensando ora?».
Lei lo guardò inespressiva. «A niente. Che succede?».
«A cos’hai pensato un minuto fa?», le chiese.
«Solo... all’Isola Esme. E alle piume».
Risposta incomprensibile, ma quando vidi Bella arrossire capii che era meglio per me non sapere.
«Di’ qualcos’altro», mormorò.
«Ma cosa? Edward, che succede?».
La sua espressione cambiò di nuovo e fece una cosa che mi lasciò a bocca aperta. Udii un rantolo alle mie spalle e capii che Rosalie era tornata ed era rimasta interdetta quanto me.
Edward, con gran delicatezza, posò entrambe le mani sul pancione rotondo di Bella.
«Il fe...». Deglutì. «Al... al bambino piace il suono della tua voce».
Ci fu un breve attimo di silenzio assoluto. Non riuscivo a muovere mezzo muscolo, neanche per battere le palpebre. Poi...
«
La mano di Edward si spostò in cima alla pancia e la accarezzò delicatamente nel punto in cui il bambino aveva scalciato.
«Sssh», mormorò. «Hai spaventato il... lui».
Gli occhi di lei si spalancarono inondandosi di meraviglia. Tamburellò di lato sulla pancia. «Scusa, piccolo».
Edward ascoltava concentrato, la testa inclinata verso il gonfiore.
«Cosa pensa ora?», domandò lei impaziente.
«La cosa... lui, o lei è...». S’interruppe e la fissò negli occhi. Traboccavano del suo stesso stupore, solo un po’ meno attenti e circospetti. «Felice», disse Edward con voce incredula.
Il respiro di lei si fermò, era impossibile non notare il luccichio fanatico nei suoi occhi. L’adorazione e la devozione. Lacrime grosse e pesanti le gonfiarono gli occhi e le scesero silenziose lungo il viso, sulle labbra sorridenti.
Mentre la guardava, il viso di Edward non era spaventato, incollerito, arso, né aveva alcuna delle espressioni che gli avevo visto da quando erano tornati. Era incantato assieme a lei.
«Certo che sei felice, bel bambino, certo che lo sei», canticchiò Bella, massaggiandosi la pancia mentre le lacrime le rigavano le guance. «Come potresti non esserlo, così al sicuro, così al caldo, così amato? Ti amo tanto, piccolo EJ, certo che sei felice».
«Come lo hai chiamato?», chiese Edward curioso.
Lei arrossì di nuovo. «Gli ho dato una specie di nome. Non pensavo che volessi... be’, ecco».
«EJ?».
«Anche tuo padre si chiamava Edward, no?».
«Sì. Ma cosa...?», fece una pausa, poi abbozzò una risata.
«Che c’è?».
«Gli piace anche la mia voce».
«Certo che gli piace». Il tono di lei era quasi gongolante. «Hai la voce più bella dell’universo. A chi non piacerebbe?».
«Avete un piano di riserva?», chiese poi Rosalie, appoggiandosi alla spalliera del divano con la stessa aria meravigliata ed esultante di Bella. «Che si fa se è una lei?».
Bella si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Qualche idea mi è venuta. Pensavo a un misto fra i nomi di Renée ed Esme...».
«Resmé?».
«Ma no: Renesmee. Troppo strano?».
«No, mi piace», le assicurò Rosalie. Le loro teste erano vicine, oro e mogano insieme. «È bellissimo. E unico, quindi perfetto».
«Comunque, sono convinta che sia un Edward».
Edward fissava il vuoto, pallido in volto, mentre ascoltava.
«Che c’è?», chiese Bella trasognata. «Cosa pensa?».
All’inizio non rispose, poi — lasciandoci tutti di stucco, in tre sussulti distinti e separati — pose l’orecchio delicatamente sulla pancia di lei.