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Edward era chino sul tavolo operatorio che era stato la mia pira, con la mano tesa verso di me, l’espressione ansiosa.

Il suo viso era la cosa più importante, ma il mio sguardo periferico catalogò anche il resto, a scanso di equivoci. Si era innescato un certo istinto difensivo, la decisione automatica di cercare ogni possibile segno di pericolo.

La mia famiglia di vampiri aspettava circospetta, addossata alla porta, Emmett e Jasper davanti a tutti. Come se qualcuno fosse davvero in pericolo. Dilatai le narici in cerca della minaccia. Non c’erano odori fuori posto. Quel profumo debole e delizioso, ma guastato dagli aspri prodotti chimici, solleticò di nuovo la mia gola, la fece bruciare e dolere.

Alice sbirciava da dietro il gomito di Jasper con un enorme sorriso sul volto; i denti le scintillavano di una luce brillante, un altro arcobaleno a otto colori.

Quel sorriso mi rassicurò e mi aiutò a ricomporre i pezzi. Jasper ed Emmett erano lì davanti per proteggere gli altri, come avevo immaginato. Quello che non avevo afferrato subito era che dovevano proteggersi da me.

Ma tutto questo era secondario. La parte più importante dei miei sensi e della mia mente era concentrata sul volto di Edward.

Non l’avevo mai visto prima.

Quante volte avevo fissato Edward meravigliandomi della sua bellezza? Quante ore, giorni, settimane della mia vita avevo trascorso a sognare ciò che avevo sempre considerato la perfezione? Pensavo di conoscere il suo volto meglio del mio. Pensavo che fosse l’unico elemento concreto sicuro in tutto il mio mondo: la perfezione del viso di Edward.

Ma evidentemente ero cieca.

Per la prima volta, finalmente libera dai buchi neri e dalla debolezza limitante dell’occhio umano, vidi il suo volto reale. Ansimai e poi lottai con il mio vocabolario, incapace di trovare le parole giuste. Ne servivano di migliori.

A quel punto, l’altra parte della mia attenzione aveva accertato che l’unico pericolo era costituito da me stessa, perciò con un gesto automatico emersi dalla posizione accovacciata; era passato quasi un secondo intero da quando mi ero alzata dal tavolo.

Per un istante mi preoccupai della maniera in cui si muoveva il mio corpo. Non appena decisi di alzarmi, mi ritrovai in piedi. Non passò il minimo frammento di tempo fra il pensiero e l’azione: il cambiamento fu istantaneo, quasi in assenza di movimento.

Continuai a fissare il volto di Edward, di nuovo immobile.

Con le mani ancora tese verso di me, si muoveva lentamente attorno al tavolo: ciascun passo gli richiedeva almeno mezzo secondo e fluiva sinuoso come l’acqua del mare che s’insinua su pietre lisce.

Lo guardai avvicinarsi e assorbii tutta la grazia del suo incedere con i miei occhi nuovi.

«Bella?», chiese in tono basso, tranquillizzante, ma la preoccupazione nella sua voce riempì il mio nome di tensione.

Non seppi rispondergli subito, persa com’ero nelle pieghe vellutate della sua voce. Era la sinfonia perfetta, una sinfonia per strumento solo, uno strumento più profondo di ogni altro creato da mani umane...

«Bella, amore? Mi dispiace, so che sei frastornata. Ma è tutto a posto. Stai bene, va tutto bene».

Tutto? La mente si avvitò ai ricordi della mia ultima ora da umana. La memoria sembrava già offuscata, come se la vedessi attraverso un velo spesso e scuro... perché i miei occhi umani erano miopi. Era tutto sfocato.

Andava tutto bene, dunque... si riferiva anche a Renesmee? E dov’era? Con Rosalie? Cercai di ricordare il suo viso — sapevo che era bellissima — ma provare a frugare tra i miei ricordi umani era irritante. Il suo viso era avvolto nel buio, male illuminato...

E Jacob? Stava bene? Il mio migliore amico, che mi sopportava da una vita, adesso mi odiava? Era tornato nel branco di Sam? Assieme a Seth e Leah, magari?

I Cullen erano al sicuro, o la mia trasformazione aveva scatenato la guerra con il branco? Le rassicurazioni di facciata di Edward si riferivano a questo? O stava semplicemente cercando di calmarmi?

E Charlie? Che cosa gli avrei detto? Di sicuro aveva chiamato mentre bruciavo. Cosa gli avevano raccontato? Cosa credeva mi fosse successo?

Nella frazione di secondo che impiegai per decidere quale domanda porre per prima, Edward si avvicinò esitante e mi accarezzò una guancia con le dita. Lisce come la seta, morbide come piume e ora esattamente accordate alla temperatura della mia pelle.

Fu come sentirmi toccare al di là della superficie della pelle, direttamente sulle ossa del viso. In un formicolio elettrizzante, un brivido fra le mie ossa scese lungo la spina dorsale, e avvertii un tremolio nello stomaco.

Aspetta, pensai mentre il tremore maturava in calore e desiderio. Non era forse scritto che dovevo rinunciare a sensazioni come quella?

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