Carlisle oltrepassò Emmett e si diresse rapido verso di me; i suoi occhi erano solo leggermente cauti, ma Jasper seguiva i suoi passi come un’ombra. Non avevo mai visto prima il viso di Carlisle, non sul serio. Ebbi uno strano bisogno di strizzare gli occhi, come di fronte al sole.
«Come stai, Bella?», mi chiese.
Ci pensai per un sessantaquattresimo di secondo.
«Confusa. C’è così
«Sì, all’inizio può essere un fastidio».
Annuii con un gesto frenetico. «Ma mi sento me stessa. Più o meno. Non me l’aspettavo».
Le braccia di Edward mi strinsero piano i fianchi. «Te l’avevo detto», sussurrò.
«Sei abbastanza controllata», rifletté Carlisle. «Più di quanto mi aspettassi nonostante il tempo che hai avuto a disposizione per prepararti mentalmente».
Pensai alle selvagge oscillazioni d’umore, alla difficoltà di concentrazione, e sussurrai: «Non ne sono molto sicura».
Lui annuì serio, poi i suoi occhi, come gioielli, scintillarono d’interesse. «Sembra che stavolta sia andata meglio con la morfina. Dimmi, cosa ricordi del processo di trasformazione?».
In silenzio, sentii l’intensità del respiro di Edward sfiorarmi la guancia e soffiare sussurri di elettricità sulla mia pelle.
«Era tutto... offuscato. Ricordo che la bambina non riusciva a respirare...».
Guardai Edward, momentaneamente spaventata da quel ricordo.
«Renesmee è sana e forte», mi assicurò, negli occhi un bagliore che non gli avevo mai colto. Pronunciò quel nome con fervore controllato. Con venerazione. Nel modo in cui i devoti parlano dei propri dèi. «Cosa ricordi oltre a questo?».
Sfoderai una faccia da poker, ma non ero mai stata molto brava a mentire. «Non ricordo bene. Prima era buio. E poi... ho aperto gli occhi e ho visto
«Sorprendente», sospirò Carlisle, gli occhi accesi.
Un’ondata di imbarazzo mi travolse e attesi che le mie guance avvampassero e mi tradissero. Ma poi ricordai che non potevo più arrossire. Forse questo avrebbe protetto Edward dalla verità.
Dovevo trovare un modo per raccontarla a Carlisle, prima o poi... se avesse mai avuto bisogno di creare un altro vampiro: una possibilità molto remota, cosa che mi permetteva di mentire più serenamente.
«Voglio che ripensi... che mi racconti tutto ciò che ricordi», insistette Carlisle eccitato e non riuscii a evitare la smorfia che mi balenò sul viso. Non volevo continuare a dire bugie, perché avrei potuto tradirmi. Ma non volevo neanche ripensare a quando bruciavo. A differenza dei ricordi umani, quella parte era perfettamente chiara e la ricordavo con fin troppa precisione.
«Oh, scusa tanto, Bella», disse subito Carlisle. «Immagino che la tua sete sia insopportabile. Questa conversazione può aspettare».
In realtà, finché non l’aveva nominata, la sete non era stata insopportabile. C’era tanto spazio nella mia testa. Una parte separata del mio cervello registrava l’arsura, quasi come un riflesso. Allo stesso modo in cui il mio vecchio cervello si ricordava di respirare e chiudere gli occhi.
Ma le parole di Carlisle riportarono alla ribalta la gola riarsa. All’improvviso, quel pensiero mi riempì la mente e, più ci pensavo, più faceva male. La mia mano si sollevò a coppa sulla gola, come a spegnere le fiamme dall’esterno. La pelle del collo era strana sotto le dita. Così liscia da sembrare morbida, malgrado fosse dura come la pietra.
Edward abbassò le braccia e mi prese l’altra mano, tirandola gentilmente. «Andiamo a caccia, Bella».
I miei occhi si spalancarono e il dolore della sete diminuì, sostituito dallo stupore.
Io? A caccia? Con Edward? E in che modo? Non sapevo cosa fare.
Lui lesse l’allarme nella mia espressione e mi fece un sorriso d’incoraggiamento. «È abbastanza semplice, amore. Istintivo. Non preoccuparti, ti faccio vedere io». Vedendo che non mi muovevo, sfoderò il suo sorriso sghembo e alzò le sopracciglia. «Credevo che tu avessi sempre voluto vedermi cacciare».
Risi, in un breve scoppio di buonumore (una parte di me ascoltò meravigliata il suono di quella melodia), perché le sue parole mi ricordarono certe annebbiate conversazioni umane. E impiegai un intero secondo per passare in rassegna i primissimi giorni con Edward — il vero inizio della mia vita — in modo da non dimenticarmene mai. Non mi aspettavo che ricordare sarebbe stato così complicato. Come provare a sbirciare nel fango. Sapevo dall’esperienza di Rosalie che se avessi pensato abbastanza ai miei ricordi umani non li avrei perduti nel corso del tempo. Non volevo dimenticare neanche un minuto trascorso con Edward, neppure ora che di fronte a noi si dispiegava l’eternità. Dovevo assicurarmi che i ricordi umani si cementassero nella mia infallibile mente di vampira.
«Andiamo?», chiese Edward. Riuscì a prendere la mano che avevo lasciato sul collo. Le sue dita mi accarezzarono la gola. «Non voglio che tu stia male», aggiunse con un mormorio basso che da umana non sarei mai stata in grado di sentire.