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Fissai la donna stupenda dagli occhi terrificanti, cercandovi qualche parte di me. C’era qualcosa nella forma delle labbra: al di là della bellezza frastornante, il labbro superiore era leggermente sbilanciato, un po’ troppo pieno rispetto a quello inferiore. Ritrovare quel piccolo difetto familiare mi fece sentire un po’ meglio. Forse da qualche parte c’era anche il resto di me.

Alzai la mano per fare una prova e la donna nello specchio mi imitò, toccandosi il viso. I suoi occhi cremisi mi guardavano circospetti.

Edward sospirò.

Mi voltai verso di lui alzando un sopracciglio.

«Deluso?», chiesi con voce melodiosa e impassibile.

Rise. «A dire la verità, un po’ sì», disse.

Sentii la sorpresa sbriciolare la mia maschera composta e il dolore che seguì all’istante.

Alice ringhiò. Jasper si sporse di nuovo avanti, aspettando che scattassi.

Ma Edward li ignorò, mi abbracciò stretta malgrado fossi immobile e premette le labbra contro la mia guancia. «Sai, speravo di poter finalmente ascoltare la tua mente, ora che è più simile alla mia», mormorò. «Invece eccomi qua, frustrato come sempre, a chiedermi che cosa diavolo ti passa per la testa».

Mi sentii subito meglio. «Ah, be’», dissi leggera, lieta che i miei pensieri fossero ancora miei. «Mi sa che il mio cervello non funzionerà mai bene. Se non altro sono carina».

Era già più facile scherzare con lui, pensare in modo chiaro. Essere me stessa.

Edward ruggì al mio orecchio. «Bella, tu non sei mai stata solo carina».

Poi allontanò il viso e sospirò. «Va bene, sì», disse a qualcuno.

«Cosa?», chiesi.

«Stai facendo innervosire Jasper ogni secondo che passa. Si rilasserà soltanto dopo che sarai andata a caccia».

Guardai l’espressione preoccupata di Jasper e annuii. Se proprio doveva succedere, non volevo perdere le staffe in casa. Meglio essere circondata da alberi che da familiari.

«Okay. Andiamo a caccia», concordai, e un brivido di nervosismo e aspettativa sussultò nel mio stomaco. Mi sciolsi dall’abbraccio di Edward, lo presi per mano e voltai le spalle alla donna strana e bellissima nello specchio.

21

Prima caccia

«Dalla finestra?», chiesi fissando un piano più giù.

L’altezza di per sé non mi aveva mai spaventata, ma vedere con chiarezza tutti i dettagli faceva apparire meno allettante la prospettiva. Gli spigoli delle pietre erano più affilati di quanto avessi mai immaginato.

Edward sorrise. «È l’uscita più veloce. Se hai paura, ti porto io».

«Abbiamo l’eternità davanti, e ti preoccupi del tempo che ci metteremmo a uscire dal retro?».

Si accigliò leggermente. «Giù ci sono Renesmee e Jacob...».

«Ah».

Giusto. Adesso il mostro ero io. Dovevo tenermi lontana dagli odori che potevano innescare il mio lato selvaggio, in particolare dalle persone che amavo. Ma anche da quelle che non conoscevo ancora.

«Renesmee sta bene... con Jacob lì?», sussurrai. Finalmente mi resi conto che il cuore che avevo sentito battere giù doveva essere quello di Jacob. Tesi di nuovo l’orecchio, ma udivo soltanto le pulsazioni accelerate. «Non gli è mai andata a genio».

Le labbra di Edward si tesero in modo strano. «Fidati, è perfettamente al sicuro. Conosco i pensieri di Jacob dal primo all’ultimo».

«Ovvio», mormorai e guardai di nuovo giù.

«Stai forse prendendo tempo?», mi provocò.

«Un po’. Non so come...».

Ero consapevole che dietro di me i miei familiari mi guardavano in silenzio. Più o meno: Emmett aveva già ridacchiato sotto i baffi una volta. Un errore e si sarebbe sganasciato. E sarebbero iniziate le barzellette sull’unica vampira imbranata al mondo!

E poi, il vestito, che Alice probabilmente mi aveva infilato mentre ero troppo persa nel fuoco per accorgermene, non era certo quello che avrei scelto per mettermi a saltare per cacciare. Aderente seta azzurra? A cosa pensava che mi sarebbe servito? O forse era in programma un cocktail party dopo?

«Guardami», disse Edward. Poi, con grande disinvoltura, usci dalla finestra aperta e cadde.

Lo osservai con attenzione, analizzando l’angolo con cui aveva piegato le ginocchia per assorbire l’impatto. Il suono dell’atterraggio era stato sordo, come una porta chiusa con dolcezza o un libro posato con delicatezza sopra un tavolo.

Non sembrava difficile.

Mi concentrai serrando i denti e provai a copiare il suo passo disinvolto nel vuoto.

Ah! Il terreno parve muoversi verso di me così lentamente che fu cosa da niente poggiare il piede — che scarpe mi aveva messo addosso Alice? Tacchi a spillo? Pazza! — e posare le mie stupide scarpe a terra come se stessi banalmente camminando.

Assorbii l’impatto sulla punta dei piedi, perché non volevo spezzare i tacchi sottili. L’atterraggio era stato tranquillo come quello di Edward. Gli sorrisi.

«È vero. È facile».

Ricambiò il sorriso. «Bella?».

«Sì?».

«Sei stata molto aggraziata... anche per un vampiro».

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