Alice scosse lentamente la testa, le spalle basse. «È uscita dal nulla, Jazz. Non stavo cercando né loro né noi. Cercavo Irina e non era dove mi aspettavo che fosse». La sua voce si affievolì, gli occhi tornarono a perdersi nel vuoto. Per un istante interminabile mise a fuoco il nulla di fronte a sé.
Poi sollevò la testa di scatto, lo sguardo duro come selce. Sentii Edward trattenere il fiato.
«Ha deciso di andare da loro», disse Alice. «Irina ha deciso di andare dai Volturi. Poi prenderanno una decisione... È come se la stessero aspettando. Come se avessero già deciso e stessero aspettando che lei...».
Calò nuovamente il silenzio mentre digerivamo la notizia. Cosa avrebbe detto Irina ai Volturi di tanto grave da scatenare la terribile visione di Alice?
«Possiamo fermarla?», chiese Jasper.
«Impossibile. È quasi arrivata».
«Cosa sta facendo?», sentii chiedere Carlisle, ma non stavo più seguendo la conversazione. Tutta la mia attenzione era concentrata sull’immagine che la mia mente stava tratteggiando con dolorosa precisione.
Vedevo Irina in cima al pendio, intenta a osservare qualcosa. Cosa aveva visto? Un vampiro e un licantropo uniti da un evidente rapporto di amicizia. Mi ero fissata su quell’immagine, perché avrebbe spiegato la sua reazione. Ma Irina aveva visto anche dell’altro.
Una bambina. Una bambina splendida che mostra la propria bravura nella neve, indubbiamente più che umana...
Irina... le sorelle orfane... Carlisle aveva detto che la perdita della madre a causa delle leggi dei Volturi aveva fatto di Tanya, Kate e Irina delle puriste in materia di giustizia.
Solo mezzo minuto prima Jasper l’aveva detto:
Con il suo passato, quale altra interpretazione avrebbe potuto dare Irina a ciò che vedeva? Non era abbastanza vicina da sentire il cuore di Renesmee e percepire il calore emanato dal suo corpo. A quanto ne sapeva, le sue guance rosate avrebbero potuto benissimo essere un trucco.
In fin dei conti i Cullen facevano comunella con i licantropi. Dal punto di vista di Irina, poteva significare che niente era troppo per noi.
Irina che si torce le mani nella neve: non al ricordo della morte di Laurent, ma nella certezza che è suo dovere denunciare i Cullen, sapendo a quale destino andranno incontro se lo farà. A quanto pareva, la sua coscienza aveva avuto la meglio su secoli d’amicizia.
E la reazione dei Volturi a quel genere d’infrazione era così automatica che la decisione era già presa.
Mi girai e mi stesi accanto al corpo addormentato di Renesmee, coprendola con i miei capelli, seppellendo il viso nei suoi riccioli.
«Pensate a cosa ha visto questo pomeriggio», dissi sottovoce, interrompendo Emmett che stava per parlare. «Come reagirebbe qualcuno che ha perso la madre a causa dei bambini immortali, vedendo Renesmee?».
Scese di nuovo il silenzio mentre gli altri arrivavano alla conclusione che io avevo già raggiunto.
«Una bambina immortale», sussurrò Carlisle.
Sentii Edward inginocchiarsi accanto a me e abbracciare entrambe.
«Ma si sbaglia», proseguii. «Renesmee non è come quei piccoli. Loro erano congelati in un momento preciso, lei cresce a vista d’occhio ogni giorno. Loro erano incontrollabili, lei non ha mai fatto del male a Sue o Charlie, e nemmeno mostra loro cose che potrebbero ferirli. Lei
Continuai a sproloquiare, in attesa che qualcuno sospirasse di sollievo, che il gelo nella stanza si sciogliesse perché si erano resi conto che avevo ragione. Invece la tensione sembrò aumentare. Finché la mia voce, sempre più fievole, svanì nel mezzo di una frase.
Per un pezzo nessuno apri bocca.
Poi Edward mi sussurrò fra i capelli: «Per crimini come questo non è previsto alcun processo, amore. Per Aro i pensieri di Irina sono una
«Ma si sbagliano», mi ostinai.
«Non ci lasceranno il tempo di spiegare».
Il suo tono di voce era ancora gentile, dolce, vellutato... tuttavia era impossibile non coglierne la nota dolente e disperata. La sua voce era come gli occhi di Alice poco prima, sembrava provenire da una tomba.
«Cosa possiamo fare?», domandai.
Renesmee era calda e perfetta fra le mie braccia, e sognava beata. Mi ero preoccupata così tanto per la sua crescita ultrarapida, per il fatto che fosse destinata a vivere solo poco più di un decennio... Quelle paure sembravano una vera ironia adesso.
Poco più di un mese...
Era quello il limite, dunque? Ero stata più felice di quanto la maggior parte della gente avrebbe mai potuto essere. C’era chissà quale legge di natura per cui gioia e dolore dovevano essere distribuiti equamente? La mia bilancia pendeva troppo dalla parte della felicità? Quattro mesi erano il massimo che mi si poteva concedere?
Fu Emmett a rispondere alla mia domanda retorica.