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Alla fine si voltò verso di me, batté le palpebre e rimase a fissarmi. Osservai il mutare della sua espressione mano a mano che percepiva l’atmosfera della stanza. Abbassò lo sguardo, gli occhi spalancati verso la pozza d’acqua sul pavimento, le rose sparse, le schegge di cristallo. Gli vibravano le dita.

«Cosa?», domandò con voce incolore. «Cos’è successo?».

Io non sapevo da dove cominciare, ma nemmeno gli altri trovavano le parole adatte.

In tre falcate Jacob attraversò la stanza e si lasciò cadere in ginocchio accanto a Renesmee e me. Percepivo il calore che il suo corpo emanava al ritmo dei fremiti che gli correvano lungo le braccia fino alle mani tremanti.

«Sta bene?», chiese toccando la fronte di Renesmee e inclinando la testa per auscultarle il cuore. «Non farmi incavolare, Bella, per favore!».

«Renesmee sta bene», dissi con voce strozzata, le parole che si spezzavano in punti strani.

«E allora chi?».

«Noi tutti, Jacob», sussurrai. Ed eccola, anche nella mia voce, l’eco di tomba. «È finita. Siamo tutti condannati a morte».

29

Defezione

Restammo lì seduti l’intera notte, come statue d’orrore e di dolore, ma Alice non tornò.

Eravamo tutti al limite, in preda a un’ansia talmente convulsa da impedirci ogni movimento. Carlisle si sforzò di parlare per mettere Jacob al corrente dei fatti. A sentirla raccontare di nuovo, la situazione appariva addirittura più tragica e da quel momento persino Emmett se ne rimase buono e zitto.

Soltanto quando vidi sorgere il sole e mi resi conto che di lì a poco Renesmee si sarebbe stiracchiata fra le mie braccia mi chiesi per la prima volta come mai Alice ci mettesse così tanto. Avevo sperato in qualche notizia fresca prima di dover affrontare la curiosità di mia figlia. In una qualche risposta. In un piccolo, minuscolo barlume di speranza che mi permettesse di sorridere e fare in modo che almeno lei non fosse invasa dal terrore.

Mi sentivo il volto impietrito nella maschera che avevo indossato tutta la notte. Dubitavo di essere ancora capace di sorridere.

Jacob russava in un angolo, una montagna di pelo abbandonata sul pavimento, il corpo scosso, a intervalli, da contrazioni nervose. Sam sapeva tutto e i lupi si stavano preparando all’attacco. Anche se non sarebbe servito ad altro che a farsi ammazzare insieme al resto della mia famiglia.

Il sole penetrò dalla vetrata sul retro, accendendo scintille sulla pelle di Edward. Non avevo staccato gli occhi dai suoi da quando Alice se n’era andata. Eravamo rimasti a fissarci tutta la notte, a fissare ciò che nessuno dei due avrebbe sopportato di perdere: l’altro. Vidi il mio riflesso brillare nel suo sguardo angosciato mentre il sole arrivava a sfiorare anche la mia pelle.

Fece un movimento infinitesimale con le sopracciglia, poi con le labbra.

«Alice», disse.

Il suono della sua voce era quello di una lastra di ghiaccio che si spezza durante il disgelo. L’immobilità generale s’incrinò, la rigidità si allentò. Riprendemmo a muoverci.

«È via da parecchio», mormorò Rosalie, sorpresa.

«Dove potrebbe essere?», si chiese Emmett e fece un passo verso la porta.

Esme posò una mano sul suo braccio. «Meglio non disturbare...».

«Non ci ha mai messo così tanto», disse Edward. Un nuovo timore scheggiò la maschera del suo viso. I suoi lineamenti ripresero vita, gli occhi improvvisamente sbarrati su una nuova paura, una nuova ondata di panico. «Carlisle, secondo te può essere... una misura preventiva? Ha forse visto in tempo qualcuno che la stava venendo a prendere?».

Il viso di Aro, con la sua pelle trasparente, mi riempi la testa. Aro, che aveva letto in tutti i recessi della mente di Alice, sapeva perfettamente ciò che lei era in grado di fare.

Emmett imprecò a voce così alta che Jacob balzò sulle zampe con un ringhio. Il branco gli fece eco dal cortile. La mia famiglia era già una macchia indistinta di attività.

«Rimani con Renesmee!», gridai con voce stridula a Jacob mentre mi lanciavo fuori di casa.

Ero ancora la più forte di tutti e ne approfittai per passare in testa. In pochi balzi superai Esme e con un altro paio di falcate Rosalie. Poi schizzai nel fitto della foresta fino ad arrivare alle spalle di Edward e Carlisle.

«Potrebbero averla colta di sorpresa?», chiese Carlisle, il respiro calmo come se fosse immobile invece che lanciato a folle corsa.

«Non vedo come», rispose Edward. «Però Aro la conosce meglio di chiunque altro. Meglio di me».

«È una trappola?», gridò Emmett alle nostre spalle.

«Forse», disse Edward. «Le uniche tracce olfattive sono quelle di Alice e Jasper. Dove stavano andando?».

Le scie si aprivano in un ampio ventaglio: dalla casa puntavano a est, poi a nord dall’altra parte del fiume e infine, dopo qualche chilometro, viravano in direzione ovest. Riattraversammo il fiume, balzando tutti e sei a distanza di un secondo l’uno dall’altro. Conduceva Edward, nella concentrazione più totale.

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