Mentre parlavano mi diressi verso la vetrata, cercando senza troppa fatica di assumere un’aria ansiosa e inquieta, e appoggiai la testa contro la parete che s’incurvava dal soggiorno alla sala da pranzo, proprio vicino a uno dei computer. Fissando la foresta feci scorrere le dita sulla tastiera, come soprappensiero. Chissà se i vampiri agivano soprappensiero, qualche volta? Non pensavo che qualcuno mi prestasse particolare attenzione, ma non mi voltai per sincerarmene. Il monitor s’illuminò. Feci scivolare nuovamente le dita sui tasti. Poi le tamburellai silenziosamente sul piano di legno della scrivania, sempre fingendo un gesto casuale. Poi ripassai sui tasti.
Lessi sullo schermo con la coda dell’occhio.
Nessun J. Jenks, però c’era un Jason Jenks. Avvocato. Sfiorai la tastiera cercando di tenere un ritmo, come accarezzassi assorta un gatto che mi ero quasi dimenticata di avere in braccio. Il sito dello studio di Jason Jenks era ben fatto, ma l’indirizzo sulla homepage era sbagliato. A Seattle, sì, ma con un codice postale diverso da quanto mi risultava. Presi nota del numero di telefono e ricominciai a battere il tempo con le dita sulla tastiera. Cercai a cosa corrispondesse l’indirizzo, ma non trovai nulla, come se non esistesse. Avrei voluto guardare su una mappa, ma decisi che sarebbe stato troppo rischioso. Un’ultima passata sui tasti, a cancellare tutto...
Continuai a guardare fuori della finestra e sfiorai il legno un paio di volte. Udii avvicinarsi passi leggeri e mi voltai con quella che speravo fosse la stessa espressione di prima.
Renesmee mi tese le braccia e io allargai le mie. Ci si tuffò dentro, emanando un odore intenso di licantropo, e mi appoggiò la testa alla base del collo.
Non ero sicura di riuscire a sopportare. Il timore per la mia vita, per quella di Edward e del resto della mia famiglia non era niente paragonato al terrore che mi chiudeva lo stomaco al pensiero che accadesse qualcosa a mia figlia.
Doveva esserci un modo per salvarla, fosse l’unica cosa che potessi fare.
D’un tratto mi resi conto che era tutto quello che volevo. Se proprio avessi dovuto, avrei sopportato tutto il resto, ma non che lei perdesse la vita. Quello no.
Era l’unica cosa che
Alice aveva visto ciò che provavo?
La mano di Renesmee mi toccò piano la guancia.
Mi mostrò il mio viso e quelli di Edward, Jacob, Rosalie, Esme, Carlisle, Alice e Jasper, in successione sempre più rapida. Seth e Leah. Charlie, Sue e Billy. E poi di nuovo, da capo. Preoccupata, come tutti noi. Ma solo preoccupata. A quanto capivo, Jake le aveva risparmiato il peggio: che non avevamo speranza e che di lì a un mese saremmo morti.
Renesmee si fermò sul volto di Alice, piena di desiderio e confusione. Dov’era Alice?
«Non lo so», sussurrai. «Ma è Alice. Sta facendo la cosa giusta, come sempre». La più giusta per lei, tuttavia. Mi detestavo a dare un simile giudizio su Alice, ma in quale altro modo avrei dovuto interpretare la situazione?
Renesmee sospirò e la nostalgia crebbe.
«Manca anche a me».
Sentivo la mia faccia che si sforzava di trovare l’espressione adeguata al dolore che m’invadeva. Mi sentivo gli occhi strani e asciutti e battevo le palpebre per eliminare quel fastidio. Mi morsi il labbro. Al respiro successivo l’aria mi rimase impigliata in gola, come se stessi soffocando.
Renesmee si tirò indietro per guardarmi e vidi il mio volto specchiato nei suoi pensieri e dentro i suoi occhi. Avevo la faccia di Esme quella mattina.
Quindi era questo ciò che si provava a piangere.
Gli occhi di Renesmee si accesero di un luccichio umido mentre mi osservava. Mi passò la mano sul viso senza farmi vedere niente, soltanto per consolarmi.
Non avrei mai pensato di vedere il rapporto fra me e mia figlia ribaltarsi, come era sempre stato tra Renée e me. Ma non avevo mai avuto una visione chiara del futuro.
Sull’orlo dell’occhio di Renesmee si raccolse una lacrima. L’asciugai con un bacio. Lei si toccò stupita e poi guardò l’umido sui polpastrelli.
«Non piangere», le dissi. «Andrà tutto bene. Non ti succederà niente. Troverò il modo perché tu ne esca sana e salva».
Se per me non c’erano più alternative, dovevo salvare almeno la mia piccola Renesmee. Ero più che certa che grazie ad Alice ci sarei riuscita. Lei sapeva. E mi avrebbe mostrato come fare.
30
Irresistibile
C’erano così tante cose a cui pensare.
Dove avrei trovato il tempo per mettermi, da sola, sulle tracce di J. Jenks, e perché Alice me ne aveva parlato?
Se, invece, la dritta non aveva niente a che vedere con Renesmee, come potevo salvare mia figlia?
In quale modo, l’indomani, avremmo spiegato le cose alla famiglia di Tanya? E se avessero reagito come Irina? Se la situazione fosse sfociata in uno scontro?
Io non sapevo combattere. Potevo imparare in un mese? C’era la possibilità che m’insegnassero in così poco tempo a trasformarmi in un pericolo per uno qualsiasi dei Volturi? O ero condannata alla totale inutilità? Come una normalissima neonata da togliere di mezzo senza sforzo?