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Sentii la voce bassa e vellutata di Edward avvicinarsi dal corridoio, mentre parlava senza esitazioni in quello che sembrava perfetto portoghese. Un’altra voce più rauca, umana, rispondeva nella stessa lingua.

Edward li guidò nella stanza, indicando verso la cucina quando vi passò davanti. Accanto a lui, i due brasiliani apparivano incredibilmente bassi e scuri: un uomo rotondetto e una donna magra, con i volti segnati dalle rughe. Edward mi presentò con un sorriso orgoglioso e riconobbi il mio nome mescolato a un flusso di parole sconosciute. Arrossii appena ripensando al disastro di piume nella stanza bianca in cui stavano per imbattersi. L’ometto mi sorrise educato.

La donna minuta dalla carnagione color caffè invece no. Mi osservava a occhi spalancati, in un misto di sorpresa, preoccupazione e soprattutto paura. Prima che potessi reagire, Edward indicò loro di seguirlo nel pollaio e li accompagnò fuori.

Quando rientrò, era solo. Si avvicinò lesto al mio fianco e mi abbracciò.

«Cosa vuole quella?», sussurrai impaziente, al ricordo dell’espressione di panico della donna.

Edward scrollò le spalle, impassibile. «Kaure è una mezzosangue Ticuna. L’antica cultura india le ha insegnato il rispetto per le superstizioni, o l’attenzione ai dettagli, se vuoi. Sospetta che io sia ciò che sono, o perlomeno è vicina a capirlo». Tuttavia, non sembrava preoccupato. «Qui hanno alcune leggende, come quella del Lobishomen, un demone assetato di sangue che si nutre di belle donne». Mi lanciò un’occhiata maliziosa.

Soltanto belle donne? Be’, piuttosto lusinghiero.

«Sembrava terrorizzata», dissi.

«Lo è, ma soprattutto è preoccupata per te».

«Per me?».

«Ha paura perché sei qui con me, tutta sola». Soffocò una risata e guardò la parete coperta dai DVD. «Be’, perché non scegli qualcosa da vedere? È un ragionevole passatempo umano».

«Sì, sono sicura che un film basterà a convincerla che sei umano». Sorrisi e cinsi le sue spalle con forza, alzandomi sulla punta dei piedi. Lui si chinò per lasciarsi baciare, poi strinse la presa su di me e mi sollevò da terra per non piegarsi.

«Un film, un filmetto», mormorai, mentre le sue labbra mi scendevano sul collo e intrecciavo le mie dita ai suoi capelli color del bronzo.

Poi udii un singulto ed Edward mi lasciò andare di colpo. Kaure era immobile in anticamera, con le piume fra i capelli neri, un grosso sacco pieno di altre piume fra le braccia e l’espressione terrorizzata sul viso. Con gli occhi fuori dalle orbite mi vide arrossire e abbassare lo sguardo. Poi si ricompose e mormorò parole che, malgrado la lingua straniera, suonavano come delle scuse. Edward sorrise e le rispose benevolo. Lei puntò i suoi occhi scuri altrove e proseguì lungo il corridoio.

«Stava pensando ciò che penso stesse pensando, vero?», mormorai.

Edward rise della mia domanda ingarbugliata. «Sì».

«Ecco», dissi, allungando una mano e pescando un film a caso. «Metti su questo, così possiamo fingere di guardarlo».

Era un vecchio musical, con la copertina piena di volti sorridenti e vestiti vaporosi.

«Degno di una luna di miele», approvò Edward.

Mentre gli attori sullo schermo ballavano sulle note di un’allegra introduzione musicale, mi lasciai cadere sul divano, accoccolandomi fra le braccia di Edward.

«Adesso si può tornare nella stanza bianca?», domandai pigra.

«Non so... la testiera dell’altra camera è già straziata in modo irreparabile. Forse, se limitiamo la distruzione a una sola zona della casa, Esme potrebbe concederci di tornare, un giorno».

Feci un gran sorriso. «Perciò la distruzione non è finita?».

Rise della mia frase. «Forse è meglio che sia premeditata, piuttosto che io stia ad aspettare il tuo prossimo assalto».

«Sarebbe solo questione di tempo», commentai placida, ma nelle vene il sangue iniziò a correre.

«C’è qualcosa che non va nel tuo cuore?».

«No, no. È sano come un pesce». Feci una pausa. «Volevi andare a controllare subito il sito da demolire?».

«Forse è più educato se aspettiamo di restare soli. Tu potrai anche non accorgerti che faccio a pezzi i mobili, ma loro rischiano di spaventarsi».

A dirla tutta, mi ero già dimenticata delle persone nell’altra stanza. «Giusto. Peccato».

Gustavo e Kaure si muovevano per casa silenziosi, mentre attendevo impaziente che finissero e cercavo di seguire il "vissero felici e contenti" sullo schermo. Iniziavo a sentirmi assonnata, malgrado secondo Edward avessi già passato mezza giornata a dormire, quando una voce roca mi fece scattare. Edward si raddrizzò sul divano, con me accoccolata addosso, e rispose a Gustavo in perfetto portoghese. Il domestico annuì e si diresse tranquillo verso la porta.

«Hanno finito», disse Edward.

«Il che significa che adesso siamo soli?».

«Che ne dici di mangiare qualcosa prima?».

Il dilemma mi lasciò senza parole. Ero davvero molto affamata.

Con un sorriso mi prese per mano e mi guidò in cucina. Conosceva le mie espressioni così a fondo che non gli era indispensabile leggermi nel pensiero.

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