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«Impossibile», ribadii, perché, gonfiore o no, ciclo o non ciclo (e ciclo non ce n’era proprio, malgrado fossi sempre stata precisa come un orologio), era impossibile che fossi incinta. L’unica persona con cui avessi fatto del sesso era un vampiro, maledizione! Un vampiro che era ancora impietrito sul pavimento e non dava segno di riprendersi.

Perciò, doveva esserci un’altra spiegazione. Qualcosa di sbagliato in me. Una strana malattia sudamericana con gli stessi sintomi di una gravidanza accelerata...

Poi ricordai un particolare, un mattino di ricerche su Internet che sembrava appartenere a una vita precedente. Seduta alla vecchia scrivania della mia stanza, in casa di Charlie, mentre la luce grigia filtrava appena dalla finestra, gli occhi fissi sul mio computer antiquato e ronzante, leggevo avida i dati di un sito chiamato Vampiri A-Z. Erano passate meno di ventiquattr’ore da quando Jacob Black, convinto di raccontarmi qualche strana leggenda Quileute in cui ancora non credeva, mi aveva rivelato che Edward era un vampiro. Avevo letto con ansia le prime voci del sito, dedicato alla mitologia vampiresca di tutto il mondo. I Danag delle Filippine, gli Estrie ebrei, i Varacolaci rumeni, gli Stregoni benefici italiani (leggenda che in realtà derivava dai trascorsi del mio neo-suocero fra i Volturi, ma all’epoca non potevo saperlo)... Meno credibili diventavano le storie, meno le avevo degnate di attenzione. Delle ultime voci ricordavo solo qualche frammento. Sembravano più che altro scuse architettate per spiegare fenomeni come il tasso di mortalità infantile, oppure l’infedeltà. No, cara, non ho un’amante! La donna sexy che hai visto sgattaiolare dalla porta di casa era un Succubo cattivo. Ho rischiato la vita, sai! (Ovviamente, dopo aver sentito la storia di Tanya e delle sue sorelle, sospettavo che qualcuna di quelle scuse fosse la semplice verità). C’era anche la versione femminile. Come puoi accusarmi di averti tradito, soltanto perché hai viaggiato sui mari per due anni e al ritorno mi hai trovata incinta? È stato l’Incubo. Mi ha ipnotizzata con i suoi poteri occulti di vampiro...

Uno dei poteri dell’Incubo era proprio quello di mettere incinta la sua sventurata preda.

Scossi la testa, sbalordita. Ma...

Pensai a Esme e soprattutto a Rosalie. Le vampire non potevano avere figli. Se fosse stato possibile, Rosalie avrebbe trovato la maniera. Il mito dell’Incubo non era che una favola.

A parte... be’, una differenza c’era. Ovviamente Rosalie non poteva concepire, imprigionata com’era nel suo ultimo istante di vita umana. Senza possibilità di cambiare. E il corpo di una donna deve mutare, per dare alla luce un figlio. Prima di tutto c’è il dato di fatto della sospensione del ciclo mensile, poi le trasformazioni maggiori, necessarie ad accogliere un bambino che cresce. Il corpo di Rosalie non poteva cambiare.

Il mio sì. Il mio stava cambiando. Toccai il gonfiore sul ventre, che fino al giorno prima non c’era.

E gli uomini, be’, loro restavano più o meno uguali dalla pubertà alla morte. Ricordai un particolare che avevo raccolto non so dove: Charlie Chaplin ebbe il suo ultimo figlio a più di settant’anni. I maschi non avevano una sola fase fertile nella vita, o cicli di fertilità.

D’altronde, come si poteva sapere se i vampiri maschi fossero in grado di fecondare, dal momento che per le loro compagne era impossibile concepire? Quale vampiro al mondo poteva avere il coraggio o il desiderio di sperimentare la teoria con un’umana? O averne la disposizione?

Me ne veniva in mente solo uno.

Una parte della mia mente si affannava dietro a dettagli, ricordi e speculazioni, mentre l’altra, quella che controllava il movimento dei muscoli, dal primo all’ultimo, era talmente stupefatta da non riuscire a gestire le operazioni più semplici. Mi scoprii incapace di aprir bocca, malgrado volessi chiedere a Edward, anzi scongiurarlo, di spiegarmi cosa stesse succedendo. Avrei dovuto sedermi accanto a lui, toccarlo, ma il mio corpo non seguiva le istruzioni. Riuscivo soltanto a guardare i miei stessi occhi attoniti allo specchio, mentre le dita premevano con cautela il gonfiore sulla pancia.

E poi, come nell’incubo realistico della notte prima, lo scenario cambiò di colpo. Ciò che vedevo nello specchio mi apparve totalmente diverso, senza esserlo concretamente.

A cambiare tutto fu un movimento impercettibile del gonfiore: un colpetto, da dentro il mio corpo.

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