Nello stesso istante il cellulare di Edward squillò, acuto e pressante. Né io né lui ci muovemmo. Gli squilli si susseguirono. Cercai di ignorarli, con le dita premute sul ventre, in attesa. La mia espressione allo specchio non era più sbalordita, ma pensierosa. Mi accorsi a malapena delle lacrime strane e silenziose che cominciarono a rigarmi le guance.
Il telefono continuava a squillare. Desideravo che Edward rispondesse e stavo per avere una crisi emotiva. Forse la più grande della mia vita.
Alla fine l’irritazione ebbe la meglio. M’inginocchiai accanto a Edward con cautela inaspettata, mille volte più attenta a ogni mio singolo movimento, e tastai le sue tasche in cerca del cellulare. Mi aspettavo almeno che fosse lui ad aprirlo e rispondere, ma rimase perfettamente immobile.
Riconobbi il numero e compresi subito il motivo della chiamata.
«Ciao, Alice», dissi. La mia voce non era migliorata più di tanto. Mi schiarii la gola.
«Bella? Bella, stai bene?».
«Sì. Ehm. C’è Carlisle?».
«È qui. Qual è il problema?».
«Non sono sicura... al cento per cento».
«Edward sta bene?», domandò, spaventata. Si allontanò per chiamare Carlisle e prima che potessi risponderle domandò: «Perché non ha risposto lui?».
«Non lo so».
«Bella, che succede? Ho appena visto...».
«Cosa?».
Restò in silenzio. «Ti passo Carlisle», disse infine.
Fu come se qualcuno mi avesse iniettato acqua ghiacciata nelle vene. Se Alice mi avesse vista tenere in braccio un bambino dal viso angelico con gli occhi verdi me l’avrebbe detto, no?
Durante la frazione di secondo in cui aspettai che Carlisle parlasse, la visione che avevo evocato si librò davanti ai miei occhi. Un neonato piccolo e bellissimo, persino più bello del bambino presente nei miei sogni, un minuscolo Edward fra le mie braccia. E nelle vene una vampata di calore scacciò il freddo.
«Bella, sono Carlisle. Che succede?».
«Io...». Non sapevo cosa rispondere. Avrebbe riso delle mie supposizioni, mi avrebbe presa per pazza? Era soltanto l’ennesimo sogno colorato? «Sono un po’ preoccupata per Edward... È possibile che un vampiro cada in stato di shock?».
«È ferito?». La voce di Carlisle si fece subito impaziente.
«No, no», lo rassicurai. «Soltanto... colto di sorpresa».
«Non capisco, Bella».
«Penso, be’, penso che forse... potrei essere...», respirai a fondo, «incinta».
E quasi a sottolineare la parola, sentii un altro movimento quasi impercettibile nell’addome. La mano scattò in risposta.
Dopo una lunga pausa, l’esperienza medica di Carlisle ebbe la meglio.
«Quando è iniziato il tuo ultimo ciclo mestruale?».
«Sedici giorni prima del matrimonio». Avevo fatto il calcolo a mente così tante volte da non avere più dubbi.
«Come ti senti?».
«Strana», risposi, e la mia voce si spezzò. Un altro rivolo di lacrime mi bagnò le guance. «Ti sembrerà una follia, ma, ascolta, so che è troppo presto. Forse sono davvero pazza. Ma continuo a fare sogni strani, a mangiare, piangere e vomitare, e... e... giuro che qualcosa si è
La testa di Edward scattò e finalmente ebbi un moto di sollievo.
Edward allungò una mano per farsi passare il telefono, il volto cereo e teso.
«Ehm, penso che Edward voglia parlare con te».
«Passamelo», disse Carlisle, nervoso.
Non ero del tutto sicura che Edward riuscisse a parlare, ma posai il telefono sul palmo della sua mano.
Lo avvicinò all’orecchio. «È possibile?», sussurrò.
Restò a lungo in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto.
«E Bella?», domandò. Mentre parlava mi avvolse in un abbraccio stringendomi al suo fianco.
Restò di nuovo in ascolto, a lungo, e alla fine disse: «Sì. Sì, certo che sì».
Allontanò il cellulare dall’orecchio e chiuse la comunicazione. Un istante dopo compose un altro numero.
«Che dice Carlisle?», chiesi impaziente.
Rispose con un filo di voce. «Secondo lui sei incinta».
A quelle parole sentii un brivido caldo lungo la schiena. Dentro di me, un sussulto.
«Chi stai chiamando adesso?», domandai, mentre riavvicinava il telefono all’orecchio.
«L’aeroporto. Torniamo a casa».
Edward passò un’intera ora al telefono. Probabilmente stava organizzando il rientro, ma non potevo saperlo perché parlava in un’altra lingua. Sembrava discutere: si esprimeva a denti stretti.
E nel mentre preparava le valigie. Sfrecciava per la stanza come un tornado infuriato che dietro di sé lascia ordine anziché distruzione. Lanciò alcuni miei vestiti sul letto senza guardarli: forse voleva dire che dovevo indossarli. Continuò a discutere mentre mi cambiavo, gesticolava con movimenti improvvisi e agitati.
Uscii dalla stanza in silenzio quando non tollerai più l’energia violenta che irradiava. La concentrazione maniacale di Edward mi fece tornare la nausea, diversa da quella mattutina ma altrettanto fastidiosa. Preferivo aspettare altrove che il suo malumore si placasse. Mi era impossibile parlare con quell’Edward glaciale e assorto che, sinceramente, mi spaventava un po’.