Читаем Il quinto giorno полностью

«Siamo incappati in una bolla. Vieni.» Lo trascinò verso il parapetto. Arrivarono anche Hvistendahl, Stone e Bohrmann. Due dei tecnici della Statoil stavano sul ripido bordo di poppa, proprio sotto il braccio della gru, e guardavano fuori, incuriositi. Bohrmann gettò uno sguardo al cavo tesissimo.

«Ma che sta facendo?» sibilò. «Perché quell'idiota non ferma l'argano?» Si allontanò dal parapetto e corse all'interno.

Nello stesso istante, il mare cominciò a schiumare selvaggiamente. La Sonne andava a tutta velocità. Il cavo della benna si tese all'inverosimile, gemendo. Un uomo corse sul ponte sopra il braccio della gru, facendo cenni disperati. «Via di lì», gridava agli uomini della Statoil. «Attenti!»

Johanson lo riconobbe. Era il «cane pastore», come lo chiamava l'equipaggio, il primo ufficiale. Hvistendahl si girò e prese a gesticolare verso gli uomini. Poi tutto accade in un attimo. Si trovarono di colpo in mezzo a un geyser scrosciante e sibilante; sotto la superficie dell'acqua, inoltre, comparve la sagoma della benna. Si diffuse un insopportabile odore di zolfo, la poppa della Sonne si abbassò, poi la bocca d'acciaio saltò fuori dall'inferno ribollente, oscillando come un'altalena gigantesca. Il più arretrato dei due uomini della Statoil vide la benna arrivare e si gettò a terra. L'altro spalancò gli occhi, terrorizzato, fece un passo all'indietro e inciampò.

L'ufficiale balzò verso di lui per cercare di rialzarlo, ma non fu abbastanza veloce. La benna si schiantò contro l'uomo a terra e lo scagliò in aria. L'uomo tracciò un ampio arco, scivolò sulle assi e atterrò sulla schiena.

«Oh, no», gemette Tina. «Maledizione!»

Lei e Johanson scattarono contemporaneamente. Il primo ufficiale e i membri dell'equipaggio erano in ginocchio vicino all'uomo.

«Non toccatelo», disse l'ufficiale.

«Voglio…» iniziò Tina.

«Chiamate il medico, presto.»

Tina si mordicchiò nervosamente un'unghia. Johanson sapeva quanto odiasse essere condannata all'inattività. Poi lei si avvicinò alla benna che oscillava, colando fango. «Aprite», gridò. «Tutto quello che è rimasto deve essere messo nella cisterna.»

Johanson guardò l'acqua: dal mare uscivano ancora puzzolenti bolle di gas, ma per fortuna erano diminuite. La Sonne si era allontanata velocemente. Gli ultimi frammenti di ghiaccio di metano saliti in superficie galleggiavano tra le onde e si scioglievano.

La benna si aprì, stridendo, e lasciò cadere quintali di fango e ghiaccio. Gli uomini del laboratorio di Bohrmann e i marinai si affrettarono a mettere più idrati possibile nell'azoto liquido che fumava e sibilava. Johanson si sentiva spaventosamente inutile. Si girò, andò da Bohrmann e lo aiutò a raccogliere i frammenti. La coperta era piena di piccoli corpi setolosi: alcuni sussultavano, si rivoltavano e tiravano fuori la proboscide con le mandibole. La maggior parte sembrava non essere sopravvissuta alla rapida risalita, uccisa dall'improvviso cambio di temperatura e di pressione.

Johanson sollevò uno dei frammenti e lo osservò con attenzione. Il ghiaccio era attraversato da canali, dentro i quali c'erano vermi morti. Girò da tutte le parti il frammento, finché lo stridio e il sibilo della massa in decomposizione non gli ricordarono di metterlo al sicuro il più in fretta possibile. Altri frammenti erano ancora più bucherellati: la decomposizione vera e propria era quindi cominciata al di sotto dei canali scavati dai vermi. Aperture a forma di cratere si spalancavano nel ghiaccio coperto in parte da filamenti vischiosi.

Che cos'era successo?

Johanson si dimenticò il contenitore refrigerato. Sbriciolò il fango tra le dita, pensando che sembrava il resto di una colonia di batteri. Era normale che sulla superficie degli idrati ci fossero tappeti di batteri, ma come mai si trovavano così in profondità nei grumi di ghiaccio?

Il frammento si sciolse nel giro di qualche secondo. Johanson si guardò intorno. La poppa era diventata una pozzanghera fangosa. L'uomo che era stato colpito dalla benna era sparito. Anche Tina, Hvistendahl e Stone avevano lasciato il ponte. Allora vide Bohrmann appoggiato al parapetto e lo raggiunse. «Cos'è stato?»

Bohrmann si passò una mano sugli occhi. «Abbiamo avuto un blowout. La benna è sprofondata per più di venti metri. È uscito il gas. Ha visto la bolla gigantesca sullo schermo?»

«Sì. Che spessore ha il ghiaccio in quel punto?»

«Sarebbe meglio dire che spessore aveva. Da settanta a ottanta metri, almeno.»

«Allora laggiù deve essere tutto devastato.»

«Evidentemente. Dobbiamo scoprire se si tratta di un caso unico. E dobbiamo fare in fretta.»

«Vuole prelevare altri campioni?»

«Naturalmente», brontolò Bohrmann. «La disgrazia di poco fa non sarebbe dovuta succedere. L'uomo all'argano ha continuato a sollevare la benna a tutta velocità. Avrebbe dovuto fermarla, invece.» Guardò Johanson. «Ha notato qualcosa quando il gas è salito?»

«Ho avuto l'impressione che sprofondassimo.»

«È sembrato anche a me. Il gas ha ridotto la tensione superficiale dell'acqua.»

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