Читаем Il quinto giorno полностью

Dopo aver trascorso la maggior parte della propria vita a Vancouver Island come studioso della vita marina, Anawak avrebbe potuto affermare di essere vissuto più vicino alla natura che a qualsiasi opera umana. Tuttavia scivolare su quel braccio di mare bianco, senza contorni — sempre più al largo, con a destra la tundra marrone e a sinistra le cime coperte di neve dell'isola Bylot — era una cosa completamente diversa rispetto all'osservare le balene nel Clayoquot Sound. Mentre il clima nel Canada occidentale sembrava fatto apposta per gli uomini, l'Artico era una sorta d'inferno. Certo, era magnifico, straordinario, però bastava a se stesso ed era letale per qualsiasi essere umano che si cullasse nell'illusione di poterlo dominare. I centri abitati sembravano quasi il caparbio tentativo di conquistare qualcosa che non si sarebbe mai potuto neppure raggiungere. Il viaggio in qamutik verso il bordo dei ghiacci si trasformò in un viaggio nell'ignoto. Quel poco che restava ad Anawak del senso del tempo sparì dopo un'altra notte illuminata dal sole. Stava facendo un viaggio alle origini del mondo. Anche il più razionale degli individui avrebbe capito perché l'orso polare aveva un'aria così malinconica, come raccontavano gli inuit nelle lunghe serate davanti al fuoco. L'orso aveva dimenticato la realtà a causa dell'amore per una donna sposata, la quale, però, aveva confidato al marito dove si trovava il nascondiglio dell'amante, mossa a compassione dal fatto che l'uomo aveva cacciato per settimane senza prendere nulla. Ma l'orso, che l'aveva supplicata di non parlargli dei loro incontri, aveva sentito quella rivelazione e, mentre il cacciatore usciva a cercarlo, era scivolato nell'igloo dell'amante per ucciderla. Aveva sollevato la zampa, ma poi era stato sopraffatto dalla tristezza. Che senso aveva annientare la vita di quella persona? Ormai il tradimento era compiuto. Così se n'era andato, solo e a passi pesanti.

L'aria fredda pungeva la pelle di Anawak.

Ogni volta che la natura si era avvicinata all'uomo era stata tradita. Da allora, dicono le leggende, gli orsi aggrediscono gli uomini. Quello era il loro regno. Erano i più forti. Tuttavia l'uomo li aveva sconfitti e, con loro, aveva sconfitto se stesso. Benché Anawak avesse voltato le spalle alla sua patria da due decenni, sapeva bene che i prodotti chimici industriali come il DDT o il PCB arrivavano fino al mar Glaciale Artico dall'America del Nord, dall'Europa e dall'Asia, trasportati dai venti e dalle correnti marine. Le sostanze tossiche si accumulavano nei tessuti delle balene, delle foche e dei trichechi, di cui si nutrivano orsi polari e uomini, e tutti si ammalavano. Nel latte materno delle donne inuit erano state rilevate concentrazioni di PCB che superavano anche di venti volte i limiti stabiliti dall'Organizzazione mondiale della sanità. I bambini soffrivano di disturbi neurologici e i loro test d'intelligenza davano risultati sempre peggiori. Le regioni selvagge venivano avvelenate, perché i qallunaat non capivano — o non volevano capire — il principio su cui si basava il funzionamento del pianeta Terra: una gigantesca pompa di circolazione di correnti marine e d'aria che prima o poi diffondono ogni cosa ovunque.

C'era da meravigliarsi che negli abissi qualcuno avesse deciso di mettere la parola fine a tutto ciò?

Dopo due ore di viaggio, tornarono a dirigersi verso la costa dell'isola di Baffin. Indolenziti per essere stati seduti così a lungo e per i sobbalzi, per quanto ammortizzati dai pattini, camminarono a fatica sul ghiaccio pressato verso la tundra libera dalla neve, di fianco a macigni ricoperti di licheni. In mezzo alle pianure acquitrinose, ricoperte di muschio, splendevano fiori isolati, sassifraghe purpuree e potentille. Era la stagione migliore. Più tardi, in estate, lì ci sarebbero stati miliardi di moscerini.

Il terreno saliva dolcemente. Uno degli autisti degli skidoo li condusse su un altopiano che si affacciava sul mare e sulle montagne imbiancate, e mostrò loro i resti di antiche abitazioni dell'epoca thule e due semplici croci. Là erano seppelliti alcuni cacciatori di balene tedeschi. Diversi siksik - scoiattoli artici — s'inseguivano sull'altopiano e poi sparivano nelle spaccature del terreno. Mary-Ann trovò alcune pietre adatte e si mise a fare giochi di abilità. Anawak la fissò per qualche istante, poi, di colpo ricordò che quella era una specialità sportiva degli inuit, vecchia come il mondo. Ci provò anche lui, ma il risultato fu disastroso e suscitò una risata collettiva. Gli inuit erano fatti così. Un popolo sciocco che si ammazzava dal ridere anche soltanto se qualcuno scivolava.

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