«Avete trovato delle impronte digitali sui portatili o sulle copie cianografiche?» domandò Constance senza nutrire grandi speranze. Gli abitanti di Smart House erano intelligenti quanto la casa, troppo scaltri per lasciare delle impronte. Provò una strana sensazione ma non volle nemmeno pensare che potesse trattarsi di qualcosa di più di un attimo di turbamento.
«Sono perfettamente puliti» rispose Ericson.
«Questo significa che molto probabilmente non sono stati né Gary né Rich a metterli lì» disse, augurandosi che la sensazione appena provata si ripresentasse in maniera più definita. Dwight Ericson la guardava con aria interrogativa, e lei proseguì la sua spiegazione. «Loro due avevano un motivo per maneggiare le copie cianografiche o i computer, l’assassino invece no. È per questo che ha dovuto eliminare tutte le impronte, per poter negare di conoscere il passaggio segreto o il modo per cancellare la registrazione dei suoi movimenti dal computer principale.»
«Se i suoi uomini hanno finito d’ispezionare il piccolo ascensore vorrei dargli un’occhiata» disse Charlie.
Ericson annuì, bevve il caffè un po’ troppo in fretta e si alzò. «Anch’io.»
Nell’ufficio di Gary, un giovane poliziotto li accolse con un energico saluto militare e si fece da parte perché Charlie e Dwight Ericson potessero avvicinarsi all’ascensore.
«Ho effettuato delle misurazioni, signore» disse il poliziotto guardando Charlie. Sembrava un adolescente a un campo estivo. «L’ascensore misura settantasei per settantasei per due metri e tredici di altezza. Ci sono delle prese d’aria sul soffitto e le porte non sigillano completamente, mi riferisco alle porte interne. In un primo momento ho pensato che la vittima avrebbe potuto rimanere soffocata qui dentro per poi essere spostata in un secondo tempo, ma è troppo grande e troppo ventilato… signore» aggiunse, e arrossì violentemente. Poi riprese la consueta espressione impassibile. Ericson lo fissò stizzito per un istante prima di proseguire verso l’ascensore.
«Grazie, Howie» disse Ericson. «Vai a prendere un panino in cucina.»
Il giovane poliziotto si precipitò quasi fuori dalla stanza. Ericson guardò Charlie e disse: «Sembra che abbiano sentito tutti parlare di lei.»
Charlie però non lo stava ascoltando. Era entrato nell’ascensore e lo stava osservando voltandosi lentamente per esaminare ogni parete. Sembrava pannellato con lastre di alluminio. Le due porte erano dello stesso materiale e Charlie immaginò che questo servisse a dare peso alla cabina tenendola in tensione. Toccò una parete e annuì: era fredda. Dall’altra parte c’era la cella frigorifera. La parete accanto confinava con il montavivande, mentre la seconda porta all’interno dell’ascensore, al momento chiusa, era a contatto con il muro della cella frigorifera in corrispondenza del punto dove si trovavano i carrelli. Annuì nuovamente soddisfatto, e si voltò per esaminare con più attenzione la porta aperta dell’ascensore. Il giovane poliziotto aveva ragione, in basso non aderiva completamente e nemmeno l’altra porta. C’era una fessura millimetrica, ma pur sempre una fessura. Sospirò e guardò in alto. Le prese di ventilazione gli parvero estremamente piccole ma nell’impianto di illuminazione c’era una ventola. Rich però era morto nell’ascensore principale, rammentò a se stesso, per cui ogni congettura era inutile. Charlie sospirò ancora più profondamente.
Ogni porta era fornita di piccole maniglie, e la cabina aveva dei pulsanti per salire, scendere, aprire e chiudere la porta, ma Charlie non si soffermò su nessuno di questi particolari. Provò ad aprire la seconda porta ma non vi riuscì. Era bloccata perché a quel piano non c’erano uscite sul lato posteriore. Uscì dalla cabina e lasciò entrare Ericson, restando lì a fissare l’ascensore con un’aria accigliata e le mani in tasca. Al momento quell’ascensore non rappresentava altro che un deposito per i computer portatili e le copie cianografiche.
«Proviamo a fare ancora una cosa» disse Charlie quando Ericson ebbe finito di esaminare la cabina. «Come si accendono le luci e il ventilatore?»
«Il computer è spento» disse Ericson. «Forse senza computer non possono funzionare.»
«Il computer però ha aperto la porta» gli ricordò Charlie. «E poi a cosa servirebbero i pulsanti se non lo si può azionare manualmente?»
«Provi» gli suggerì Ericson.
Charlie provò i pulsanti ma non accadde nulla finché non chiuse la porta. A quel punto la luce a soffitto si accese. Quando il pannello si richiuse e l’ascensore svanì, Constance rimase col fiato sospeso. Ericson soffocò un’imprecazione e si avvicinò per esaminare la parete che ora appariva perfettamente compatta. All’interno si udì un leggero rumore, il pannello si spostò ancora, un istante dopo la porta dell’ascensore ricomparve e si aprì. Charlie sembrava piuttosto teso.
«È claustrofobico» fu il suo commento. «Probabilmente la ventola si aziona solo quando è in movimento.»
«Ora tocca a me» disse Ericson. «Ci vediamo al piano terra, dalla porta sul retro.»